Che cosa ci ha insegnato la “Guerra dei 12 giorni” tra Israele e Iran sui mercati internazionali e, in particolare, sulla tenuta dell’euro come bene rifugio in fasi di acuta tensione geopolitica? Quei momenti in cui, non molto tempo fa, gli investitori si rifugiavano nei Treasury statunitensi, nell’oro o in altri asset percepiti come sicuri?
Forse che i tempi sono in parte cambiati. Il recente stress test si è rivelato particolarmente interessante anche per chi detiene Btp. Se è vero che le fasi di fly to quality – ossia il fenomeno di fuga dall’azionario e dalle obbligazioni più rischiose verso asset percepiti come sicuri – iniziano a vedere l’Europa come possibile approdo alternativo agli Stati Uniti, allora anche i titoli di Stato italiani potrebbero trarne beneficio, almeno in parte.
Un breve riepilogo, limitato alle reazioni finanziarie. Il 13 giugno ha preso il via l’operazione militare israeliana, con una serie di attacchi mirati che hanno colpito i vertici delle Guardie della Rivoluzione e alcuni impianti di arricchimento dell’uranio in Iran. Nei giorni immediatamente successivi, l’euro ha perso terreno contro il dollaro, passando da 1,1585 (12 giugno) a un minimo di 1,1482: una flessione dello 0,89%. Ma già al 25 giugno – dopo l’annuncio del cessate il fuoco – la moneta unica si attestava a 1,1631, segnando un rimbalzo dell’1,3% dal minimo e un rafforzamento dello 0,4% rispetto ai livelli pre-crisi.
Tradotto: il dollaro ha mantenuto un ruolo rifugio nella fase più acuta, ma con un impatto contenuto e rapidamente riassorbito. L’euro, a sorpresa, ne è uscito rafforzato. Un segnale che la valuta unica non è più – o non è solo – un asset vulnerabile nelle crisi globali.
Ancora più significativo il dato legato ai Btp. Lo spread Btp-Bund è salito da 94,4 punti base a un massimo di 102,4 (+8,5%), mentre il rendimento del decennale italiano è passato dal 3,40% al 3,52%. Al 25 giugno, con la tregua consolidata, il rendimento è al 3,485% e lo spread è tornato a 95 punti base: praticamente invariato rispetto ai livelli pre-bellici.
Eppure, teoricamente, l’euro avrebbe dovuto soffrire molto di più. Una delle paure più forti nei giorni della crisi era legata a uno scenario potenziale di blocco nello Stretto di Hormuz, snodo cruciale per le forniture energetiche mondiali. La dipendenza dell’Unione Europea dalle importazioni petrolifere, in particolare da rotte mediorientali, avrebbe dovuto penalizzare strutturalmente la moneta unica. I mercati avrebbero potuto interpretare l’interruzione dei flussi come un rischio asimmetrico per l’Europa, spingendo in basso l’euro. E invece il movimento valutario è stato contenuto, temporaneo e in parte ribaltato.
È in questo quadro che le parole della presidente Bce Christine Lagarde, pronunciate in un intervento strategico di metà giugno, assumono maggiore rilievo. Il contesto di partenza è il declino politico unito alle difficoltà statunitensi sul deficit, che stanno allontanando gli investitori dal debito federale Usa.
“Stiamo assistendo a un profondo cambiamento dell’ordine globale. I mercati aperti e le regole multilaterali si stanno frammentando, e persino il ruolo dominante del dollaro non è più scontato.” La presidente della Bce ha sottolineato che questa fase storica “crea incertezza – ma anche opportunità” per l’euro, che resta la seconda valuta al mondo nelle riserve internazionali con una quota del 20% contro il 58% del dollaro.
Il passaggio cruciale, però, è un altro: “Un maggiore ruolo internazionale della nostra moneta non arriverà per inerzia: dovrà essere guadagnato.” Per farlo, l’Europa deve rafforzare tre pilastri: credibilità geopolitica, resilienza economica e solidità istituzionale. “La fiducia reale si basa su fatti concreti”, ha detto Lagarde. “Gli investitori cercano regioni che onorano le proprie alleanze. La storia ci insegna che i regimi monetari sembrano stabili… finché non lo sono più.”
È esattamente questa la chiave di lettura dei giorni recenti: l’euro non ha (ancora) pienamente conquistato lo status di bene rifugio, ma ha mostrato di saper reggere shock esterni anche in contesti di vulnerabilità – come quello energetico – con una tenuta che qualche anno fa sarebbe apparsa improbabile. Se l’Ue sarà in grado di completare il mercato dei capitali, generare più asset sicuri e superare i vincoli istituzionali che oggi frenano il coordinamento strategico, potrà rendere strutturale ciò che oggi si intravede solo in controluce: un euro non più periferico, ma centrale nei momenti in cui il mondo cerca protezione.
Domande frequenti su Btp, lezioni dalla guerra iraniana sull’euro come ‘nuovo porto sicuro’
La 'Guerra dei 12 giorni' si riferisce al recente conflitto tra Israele e Iran. L'articolo analizza come questo evento geopolitico acuto abbia impattato i mercati internazionali, in particolare la percezione dell'euro come bene rifugio.
Tradizionalmente, durante fasi di forte incertezza geopolitica, gli investitori tendevano a rifugiarsi in asset come i Treasury statunitensi e l'oro, considerati investimenti sicuri e stabili.
L'articolo suggerisce che i tempi potrebbero essere cambiati e che l'euro sta emergendo come un 'nuovo porto sicuro' in contesti di crisi geopolitiche, sfidando il ruolo tradizionale di asset come i Treasury statunitensi.
Il recente 'stress test' è considerato interessante per chi detiene Btp perché fornisce indicazioni sulla tenuta e sulla performance di questi titoli di stato italiani in scenari di tensione e incertezza sui mercati.
L'articolo si concentra sull'analisi di come i Btp si comportano in periodi di acuta tensione geopolitica, alla luce dei recenti eventi internazionali e della percezione dell'euro come bene rifugio.