Con grande ritardo rispetto alle previsioni di un anno fa, il dollaro si avvia a perdere parte della forza accumulata sul cambio con le altre valute. Secondo un consenso ormai plebiscitario la Federal Reserve non alzerà più i tassi d’interesse, una previsione che è stata costantemente spostata in avanti nel corso del 2023 e che adesso, grazie al calo persistente dell’inflazione, sembra essersi finalmente assestata.
Dollaro, si prevede un ulteriore calo
Nell’ultimo mese il dollar index, un indicatore che misura la forza del dollaro in rapporto ad altre sei valute chiave, ha ceduto il 2,75% riportando il biglietto verde sui livelli di inizio anno. Nello stesso periodo il cambio con l’euro dollaro ha visto un rafforzamento della moneta unica del 3,42%, che ha portato il bilancio da inizio anno a +2,07%. Secondo quanto affermato al Financial Times da Geoff Yu, strategist forex di Bny Mellon, i clienti con asset in custodia presso la banca “hanno venduto dollari al ritmo più rapido mai visto quest’anno” nel corso degli ultimi 20 giorni. Nonostante l’attuale disimpegno, i gestori di asset sono ancora sovraesposti al dollaro rispetto ad altre valute, il che indica come la debolezza del dollaro potrebbe continuare ulteriormente.
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La virata sullo yen, che prepara la riscossa
Fra le preferenze di acquisto di questi giorni spicca lo yen giapponese, una moneta ritenuta largamente sottovalutata dagli analisti. Da inizio anno, il dollaro ha guadagnato oltre il 14% sullo yen, mentre i guadagni dell’euro sulla moneta giapponese superano il 16%.
“Cercare di contrastare la salita dell’euro sullo yen è stato un gioco da sciocchi dal 2020, poiché questo cross è aumentato di quasi il 40% da allora”, hanno scritto gli analisti di Ing nel loro Outlook al 2024 sulle valute, “la sottoperformance dello yen è stata chiaramente guidata dai tassi bassi offerti in Giappone e dalla politica della BoJ, che ha continuato a stampare denaro anche durante un’allerta globale sull’inflazione”. Eppure la divergenza fra una Bce restrittiva e una BoJ super-colomba “dovrebbe invertirsi nel 2024, prima che la BoJ si prepari a liberarsi dalla sua camicia di forza accomodante”, secondo Ing, dal momento che “la debolezza della crescita nella Zona euro l’anno prossimo sposterà ora l’attenzione del mercato all’inizio del ciclo di accomodamento della Bce, nel terzo trimestre del 2024 o forse prima”.
Nel frattempo, le ultime notizie in arrivo dal Giappone stanno rafforzando le aspettative sul fatto che la BoJ potrebbe presto cambiare rotta. A ottobre l’indice nazionale dei prezzi al consumo di fondo, è aumentato del 2,9% su base annua a ottobre, hanno mostrato i dati pubblicati il 24 novembre. Il dato, appena al di sotto delle attese degli economisti sondati da Reuters (3%) rappresenta il 19esimo mese consecutivo nel quale l’inflazione giapponese viaggia al di sopra dell’obiettivo al 2%. Per oltre un anno e mezzo, tuttavia, la BoJ ha reputato che i prezzi fossero sostenute non già da dinamiche di consumo interno sostenute, ma dal contesto internazionale dei prezzi dell’energia e altri fattori transitori. I policy maker giapponesi hanno sempre faticato a fissare le aspettative sull’obiettivo del 2%, dal momento che il Giappone soffre di una tendenza strutturale verso un’inflazione molto bassa.
“I nostri incontri con i policymaker in Giappone questa settimana hanno riaffermato la nostra sensazione che l’economia giapponese si stia evolvendo su una traiettoria positiva, destinata a continuare nel 2024” ha dichiarato in una nota il fixed income cio di Blue Bay, Mark Dowding, “vediamo margini perché le pressioni sui prezzi continuino a diventare più ampie” anche se “c’è la sensazione che [il governatore della BoJ] Ueda voglia ancora prendere tempo per normalizzare la politica”.
“Abbiamo evidenziato la possibilità che venga posta fine alla Politica dei tassi negativi (Nirp) a gennaio, a seguito della quarta revisione al rialzo consecutiva delle previsioni di inflazione della BoJ durante la riunione trimestrale”, ha aggiunto Dowding, “dopo la fine della Nirp, prevediamo l’abolizione del controllo della curva dei rendimenti” che li tiene artificialmente bassi “entro aprile e aumenti dei tassi d’interesse nei mesi di giugno, settembre e dicembre del prossimo anno, portando i tassi allo 0,75% entro la fine dell’anno. Sebbene i policymaker non abbiano confermato l’entità dei rialzi dei tassi e la nostra tempistica, dalle discussioni è emerso che questa direzione di marcia è ora chiaramente la view di base”.