L’India ha una promessa: terza economia entro il 2035

Quest’anno staccherà la Cina e tutti gli altri grandi Paesi in termini di crescita: dove si muove e quali opportunità offre il Paese guidato da Narendra Modi

Nel 2022 l’India manterrà il più elevato tasso di crescita fra le principali economie mondiali: anche per questa ragione il Paese guidato da Narendra Modi si è guadagnato l’attenzione della prestigiosa rivista The Economist, che si è interrogata sulla possibilità che l’India diventi il nuovo “motore della crescita globale”. Secondo l’outlook di aprile pubblicato dal Fondo monetario internazionale, l’economia indiana crescerà dell’8,2% quest’anno, contro una media globale del 3,6%. Che l’India corra veloce non è una novità: nei sette anni successivi all’elezione di Modi nel 2014 il Pil è cresciuto del 40%; solo la Cina è riuscita a fare di più. Ma nel 2022 non sarà così: per il Dragone ferito dai lockdown la crescita stimata sarà del 4,4%. L’espansione indiana ha già reso il mercato azionario del Paese il quarto più sviluppato al mondo, dietro a Stati Uniti, Cina e Giappone. 

Il primo e più importante pilastro del nuovo modello di crescita dell’India è l’emergere di un unico mercato nazionale in cui un numero maggiore di imprese e consumatori utilizza il moderno sistema finanziario”, ha affermato l’Economist in un suo briefing di maggio, “questo [modello] sta rapidamente sostituendo i mercati regionali e le attività informali che utilizzano principalmente il contante, che cinque anni fa rappresentavano i due quinti della produzione e l’87% dei posti di lavoro”. Nel 2016 la scelta di bandire le banconote di grosso taglio da parte del governo aveva inaugurato una stagione di caos e ridotto la crescita del Pil dal 10% al 5% nei nove mesi successivi alla decisione. Un “errore di policy”, l’ha definito l’Economist, ma anche una mossa coerente con l’obiettivo di ridurre l’economia informale e di favorire la modernizzazione. 

Anche se l’India dovesse crescere più della Cina con costanza nei prossimi anni, il suo ruolo nell’economia globale difficilmente potrebbe assomigliare a quello che Pechino aveva svolto negli anni Novanta e Duemila. “Il commercio mondiale è diminuito come quota del Pil globale dall’inizio degli anni 2010”, ha affermato l’Economist, “l’India può comunque sperare di aumentare le proprie esportazioni conquistando quote di mercato da altre economie, compresa la Cina; ma le imprese e i governi, che un tempo erano disposti a fare grande affidamento sulla Cina in nome dell’efficienza, ora sono diventati più cauti”. Oggi, infatti, le imprese tengono in maggior considerazione i rischi politici derivanti dalla concentrazione della produzione in un numero ristretto di Paesi esteri. 

Messi da parte i confronti con la Cina, però, resta la crescente rilevanza del Pil indiano sul totale dell’economia globale: entro la metà del prossimo decennio, un tasso di crescita annuo vicino al 6% permetterebbe al Paese di diventare la terza economia del mondo, con un contributo superiore a quelli di Germania, Giappone e Regno Unito messi assieme, ha affermato l’Economist. Non sarà una crescita trainata solo dalla manifattura, ma qualcosa di diverso, cui contribuiranno anche altri fattori. Ad esempio, la corsa agli investimenti nelle energie rinnovabili, che vede l’India ben posizionata, al terzo posto per le installazioni solari e fra le pioniere dell’idrogeno verde. E ancora, le aziende che in questo momento intendono “riconfigurare le catene di approvvigionamento per ridurre la loro dipendenza dalla Cina, vedono aumentare l’attrattiva dell’India come luogo di produzione, grazie a un programma di sovvenzioni da 26 miliardi di dollari”. 

Per gli investitori interessati ad esporre una parte del proprio portafoglio all’azionario indiano una soluzione può essere rappresentata da fondi come l’UTI India Dynamic Equity Fund, che è interamente dedicato a questo mercato emergente. Se l’India manterrà la promessa e proseguirà su una rotta di crescita prorompente “si andrebbe a creare un nuovo vasto mercato” che potrebbe “cambiare l’equilibrio di potere globale creando un maggiore contrappeso alla Cina in Asia”, ha affermato l’Economist, “il destino, l’eredità e le decisioni pragmatiche hanno creato una nuova opportunità nel prossimo decennio: spetta all’India e a Modi non sprecarla”.

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