La Tech War demolirà i 3 pilastri che reggono i mercati?

La battaglia tra “Jedi e Sith dello smartphone”, che è destinata a protrarsi nel tempo e a pesare a lungo sull’economia e sui mercati finanziari, sta guidando il pessimismo degli investitori. Durante il roadshow “Obiettivo 2019”, gli esperti di Fidelity Italia hanno illustrato i fattori chiave per costruire il portafoglio di quest’anno.

Ciò che ha pesato e sta pesando tutt’ora sui mercati finanziari è il timore di vedere smantellato quel sistema legale-economico che per decenni è stato alla base della struttura produttiva e della crescita mondiale. L’aleatorietà del nuovo contesto e la difficoltà a valutare la possibile portata di decisioni politiche spesso ondivaghe hanno avuto ripercussioni su segmenti importanti dell’economia, a partire da quello degli investimenti; andando così a incidere in negativo sulle prospettive di crescita”. Sono queste le parole con cui il team di Fidelity Italia ha aperto il roadshow “Obiettivo 2019”, che ha toccato 21 città in tutta Italia tra gennaio e febbraio e visto la partecipazione di oltre 5000 operatori qualificati tra consulenti finanziari e private bankers.

E se il 2018 verrà ricordato per l’onnipresente ottimismo iniziale e per lo scenario “riccioli d’oro” (il migliore dei mondi economici possibili, con crescita sopra trend e inflazione sotto trend) quotato dalla maggior parte degli economisti, nella galassia degli investimenti il pessimismo ha progressivamente preso in ostaggio gli operatori economici. Il grande game-changer del 2018 è stata l’escalation protezionistica partita dagli Stati Uniti, che si è tradotta in una vera e propria guerra commerciale dell’America contro la Cina, con economie come la Germania finite vittime del fuoco incrociato.
Tuttavia il valore assoluto e la portata dell’impatto delle nuove tariffe sono per ora molto limitati e il caso Huawei ha palesato quale sia il vero terreno di scontro tra Usa e Cina: non tanto quello del dominio commerciale quanto di quello tecnologico. La battaglia tra “Jedi e Sith dello smartphone” è destinata a protrarsi nel tempo e a pesare a lungo sull’economia e sui mercati finanziari. Ecco perché, pur a fronte di un danno economico fin qui davvero limitato, la guerra commerciale si conferma come uno dei primari elementi destabilizzanti per le borse, al punto da aver spinto in area di pessimismo il sentiment dei mercati.

Grafico con bilancio di una guerra commerciale

Eppure a ben guardare i numeri, dopo 9 anni di crescita economica, il 2019 dovrebbe consegnare un altro anno con il segno più. Certo, la crescita sarà differente: meno forte e meno sincronizzata. Ma il rischio recessione appare davvero lontano”, ha affermato senza remore Donatella Principe, director, market and distribution strategy di Fidelity International.

Da un lato l’Europa dovrà fare i conti con molte spinte negative (dalla Brexit al caso-Italia, dalla fine del quantitative easing alle elezioni europee) che hanno portato la Bce a rivedere costantemente al ribasso le prospettive di crescita, dall’altro gli Stati Uniti proseguiranno con un presidente “anatra-zoppa”, che non sarà certamente in grado di implementare la seconda gamba di quell’espansione fiscale che ha spinto l’economia nel 2018 e che, quindi, potrebbe favorire un atteggiamento più accomodante da parte della Fed. Sebbene con le attuali prospettive economiche non sia pensabile una Fed che torna colomba, non di meno Jerome Powell si è espresso in toni più concilianti, con un passaggio nella gestione dei tassi da “pilota automatico” a “dipendente dai dati economici”.

I tre pilastri che reggono i mercati (crescita, condizioni monetarie e sentiment) si trovano dunque ancora in una situazione di potenziale supporto.

Tuttavia, sottolinea l’esperta di Fidelity International, questa è una fase nella quale non solo stanno pesando i fattori esogeni, ma la psicologia degli operatori riveste un peso importante. Il modo migliore di comprendere il fenomeno è guardare alla parabola dei Faanmg (acronimo di Facebook, Apple, Amazon, Netflix, Microsoft, Google). Se per anni la tecnologia è stata la vera moda intramontabile del mercato, emblema di uno stile growth premiato nelle scelte d’investimento, ben presto il trend secolare legato a questo settore (reale e solido) è stato oscurato dalla moda dei giganti tecnologici. Le scelte d’investimento sono diventate sempre più concentrate, e con esse le performance di mercato e il peso dei titoli negli indici.
Come spiegato da Principe, sta progressivamente venendo meno il paradigma d’investimento legato all’acquisto della crescita (growth) a qualunque prezzo. Il ridursi del premio di crescita sta spostando sempre più l’attenzione sulle valutazioni: comprare la cosa giusta al giusto prezzo sta sostituendo l’approccio del comprare la cosa giusta a ogni costo.
La situazione attuale dei mercati azionari, dopo la recente correzione, vede le valutazioni rientrare su livelli in linea o inferiori alle medie storiche. È opportuno però non dimenticare che questi anni di concentrazione delle scelte di investimento hanno creato una grande dispersione delle valutazioni e, se da una parte questo offre la possibilità di creare valore al giusto prezzo con un’accorta analisi fondamentale, dall’altra il rischio da evitare è di passare da un errore all’altro cadendo nelle “value trap”.
Le valutazioni inoltre sono sempre più centrali anche a causa della fine dell’era della soppressione del rischio. La put delle banche centrali non funziona più a piena potenza e questo ha comportato un ritorno alla volatilità, riducendo ulteriormente il margine di errore concesso agli investitori.
Un buon livello delle valutazioni può agire come ammortizzatore nelle fasi di rapida correzione e rotazione di mercato.
In generale dunque le mode stanno lasciando spazio ai fondamentali in un contesto di mercato caratterizzato da un’ampia dispersione dei rendimenti dopo anni di concentrazione estrema dei temi d’investimento.

Diversificazione, lontananza dall’indice in un contesto sempre meno guidato dal beta e focus sulle valutazioni sono fattori chiave per costruire il portafoglio del 2019. Per il risultato finale la gestione del rischio conterà quanto, se non più, della ricerca di rendimento”, conclude il team di Fidelity Italia.

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