Al via le tariffe del secondo governo Trump che colpiscono direttamente Canada e Messico con dazi record al 25%, ma anche Cina e, a suo dire, a breve anche per l’Europa. Insomma, molte delle promesse elettorali del tycoon hanno già visto la luce, quali sono gli effetti sui mercati dei Paesi emergenti che, storicamente, sono fortemente dipendenti dal dollaro e dalle decisioni statunitensi?
Ovunque si guardi non ci sono dubbi, anche il 2025 sarà un anno pieno di sfide per i mercati emergenti, ma dopo anni turbolenti sembra che il debito degli emergenti sia ora più forte e pronto ad affrontare qualunque nuova tempesta.
Dal passato al presente: i mercati emergenti si rafforzano
Nonostante i molteplici venti contrari, soprattutto provenienti dall’aumento dei rendimenti dei Treasury statunitensi, dalle crescenti tensioni geopolitiche e dall’incertezza per i risultati delle elezioni Usa, nel 2024 il debito dei mercati emergenti ha mostrato una forte resilienza, portando a casa un anno di successi. Gli investitori attratti dal debito di questi paesi in valuta forte e disposti ad assumersi un alto rischio, hanno ottenuto rendimenti complessivamente positivi. Lo stesso, però, non si è potuto dire per l’EM in valuta locale che ha sofferto a causa di un dollaro molto forte.
A trascinare i rendimenti positivi lo scorso anno ci ha pensato il restringimento degli spread sovrani in valuta forte di circa 63 punti base. Anche oggi, secondo Raza Agha e Viraj Nadgir, esperti di Legal & General Asset Management, “nonostante gli spread possano sembrare elevati per alcuni titoli, rimangono sacche di valore che potrebbero offrire opportunità di rialzo”. Un altro motivo per continuare a guardare verso gli emergenti, almeno per il prossimo anno, è legato al fatto che diversi emittenti sovrani sono andati in default e quindi sono scambiati a premio. “Riteniamo che questo trend favorirà un migliore accesso ai mercati dei capitali, riducendo il rischio di rifinanziamento di molti emittenti high yield, come abbiamo visto con la Nigeria lo scorso anno”, spiegano gli esperti. Ma non solo, con il miglioramento delle aspettative negli States e il presunto continuo ciclo di riduzione dei tassi, gli spread high yield e investment grade statunitensi dovrebbero rimanere ancorati, il che potrebbe a sua volta sostenere gli spread degli emergenti.
Inoltre, il livello del debito pubblico dei mercati emergenti è ancora relativamente basso, aumentato di solo il 5% dalla pandemia e rimanendo, complessivamente, sotto al 70% del prodotto interno lordo, mentre le economie avanzate sono costrette a fronteggiare livelli di quasi il 110% del pil.
L’altro lato della medaglia: i rischi per i debiti emergenti
Non ci sono dubbi, vista anche la direzione degli spread, i mercati emergenti nascondono grandi opportunità, anche se la selezione rimane fondamentale. Questo non toglie che continuano ad esistere anche dei rischi, rischi non tanto interni, quanto legati agli sviluppi macro e dei mercati globali. Nell’immediato il punto di domanda maggiore è legato ai dazi imposti dall’amministrazione di Trump che potrebbero avere un impatto negativo su alcuni settori, come acciaio, farmaceutico, microchip e gas. In effetti, nonostante ad oggi il tycoon abbia imposto le tariffe solo su Canada, Cina e Messico – in quest’ultimo caso in pausa per un altro mese – ha anche minacciato i paesi emergenti di mettere in atto dazi fino al 100%, nel caso in cui creassero una loro valuta o ne sostenessero una alternativa al dollaro.
Gli effetti di queste decisioni e minacce sono stati subito visibili sui mercati: le borse, che fino a qualche giorno fa non avevano reagito in nessun modo alle minacce della nuova amministrazione americana, hanno subito un’immediata correzione al ribasso, prima i mercati asiatici, poi quelli europei hanno aperto con forti ribassi, e anche i futures sugli indici americani sono negativi, a riprova che dalla politica dei dazi alla fine nessuno sembra trarre vantaggio, se non l’ego di Trump. Potrebbe essere solo un anticipo degli effetti di lungo termine che queste politiche potrebbero avere sul commercio globale, sulle catene di approvvigionamento e sull’inflazione statunitense.