I numeri in arrivo dalle trimestrali di Europa, Usa e Asia mostrano utili sopra le attese. Il che dà solidità al rally del mercato che da fine anno scorso sembra essersi interrotto solo negli ultimi giorni
Nel lungo termine le azioni battono i bond e sono redditizie. Il caso del Dow Jones è emblematico: valeva mille punti nel 1982 e dopo aver superato i 10mila, nel 2000 è sì crollato ma solo a 7500 (ben oltre il valore di venti anni prima). Oggi ha superato i 31mila punti.
Notizie positive dalle trimestrali
Anche perché nelle ultime settimane, dalle trimestrali sono arrivate soprattutto notizie positive, con utili delle società quotate sopra le previsioni negli Stati Uniti come in Europa per non citare la solita Asia. “Se poi si guarda spesso qual è l’alternativa ovvero restare cash o investiti in obbligazioni a rendimento negativo allora non avrei alcun dubbio sul capire cosa è veramente più rischioso – continua Gaziano – un investitore accorto sa che il suo mestiere è quello di accettare ragionevoli rischi, avere un portafoglio diversificato e non cercare di capire i minimi e i massimi dei mercati visto che la storia ci dice che non ci riesce quasi nessuno”. Purtroppo però “quello che impariamo dalla storia è che le persone non imparano dalla storia”, per dirla con le parole di Warren Buffett.
Non ci sarà sboom
Da inizio anno gli investitori europei e dell’area Emea hanno fatto affluire al ritmo di oltre 3 miliardi di euro a settimana flussi sull’azionario sugli Etf, riducendo la quota in cash. “Secondo i dati raccolti dalla Bank of America sono stati favoriti soprattutto il tema della tecnologia, l’azionario Usa e poi quello cinese”. La corsa è stata trainata dalle speranze, non peregrine, che i vaccini per il coronavirus entro la fine di questa estate di fatto “immunizzeranno” oltre due terzi del pianeta, riportando l’economia a marciare non solo a pieno ritmo ma anche di più.
Il momento – nonostante alcuni eccessi – resta dunque per gli investitori attraente anche perché le alternative sembrano essere ancora più rischiose dell’equity, sia per l’ondata di liquidità immessa dalle banche centrali e dai governi impegnati nella ripresa post pandemica – che a quanto pare deve ancora esprimersi al suo massimo.
Il momento perfetto per investire in azioni? Non esiste
“In ogni caso, il momento perfetto di fatto non esiste. O meglio ogni momento può essere perfetto – dice Gaziano – Nel 1982 il Dow Jones era appena sopra i mille punti. Nel marzo 2000 con la bolla delle dot.com arrivò certo una bella discesa: l’indice Dow perse quota da 11.750 punti a 7500 di minimo nel settembre 2002 (quindi ben oltre il valore di venti anni prima). E oggi? Ha superato i 31.450 punti”.
Insomma, adottando un’ottica di lungo periodo e accettando una ragionevole dose di rischio per il proprio profilo l’azionario paga. “D’altro canto oggi un portafoglio obbligazioni europeo diversificato di titoli governativi dell’area euro, con scadenze comprese tra 10 e 15 anni ha un rendimento annuale attuale pari a zero. E senza tenere conto di commissioni annue (che nel caso di fondi d’investimento possono superare l’1-1,5% annuo) e dell’inflazione annua”, avverte l’esperto che considera anche accettabile avere in un portafoglio diversificato una quota di titoli obbligazionari “sicuri” ma solo, appunto, nell’ottica della diversificazione. “Dobbiamo considerare anche che se qualcosa andasse storto nonostante le rassicurazioni delle banche centrali l’inflazione vera potrebbe ripresentarsi così come un rialzo improvviso dei tassi d’interesse. Veleno questo mortale per le obbligazioni”.
Azioni cinesi trainate dalla domanda
La domanda cinese sta trainando la manifattura anche europea e un segno forte arriva anche dalle materie prime. “Sono in particolare le materie prime legate ai metalli che hanno preso il volo e sono tornati sui massimi di 9 anni trainati soprattutto dal boom di domanda asiatica e cinese in particolare.
La Cina è il maggior consumatore e produttore mondiale di alluminio, con una quota di mercato globale superiore al 50%. Gran parte delle fonderie di alluminio cinesi non ha ridotto la produzione durante la crisi del Covid-19 e in Asia la domanda anche di rame, acciaio e altri metalli resta forte grazie alla ripresa manifatturiera”.
Società minerarie, lusso, tech: le diverse facce del boom
Un boom che sta favorendo anche le società minerarie di tutto il mondo, come l’anglo-australiana Bhp Group che sulla Borsa di Londra ha raggiunto la più alta capitalizzazione borsistica nel paese a 120 miliardi di sterline, salendo del 120% dai minimi di marzo 2020.
Il prezzo del minerale di ferro, l’ingrediente chiave necessario per produrre l’acciaio, è raddoppiato nell’ultimo anno a quasi 165 dollari a tonnellata e Bhp (come i suoi concorrenti Rio Tinto, Anglo American, Antofogasta, Glencore) “ha anche beneficiato del rinnovato interesse degli investitori per i minatori e le materie prime, alimentato dalle aspettative di un boom della spesa per le infrastrutture verdi da parte dei governi”. Ancora, in un settore completamente diverso il gruppo Lvhm ha raggiunto la più alta capitalizzazione borsistica in Europa. Per non dire di L’Oreal che mentre annunciava risultati brillanti, prevedeva un ritorno della crescita ai ruggenti anni Venti del secolo scorso – post guerra e post Spagnola. Si tratta comunque di un’industria tradizionale: insieme a questa continua la corsa Apple (top assoluta in termini di capitalizzazione), Tencent in Cina, Sberbank in Russia, Toyota in Giappone (ed Enel in Italia). “Ogni Paese ha il suo campione di capitalizzazione – conclude Gaziano – e presenta delle società che dal post pandemia potrebbero uscire rafforzate dalle vendite come dall’esposizione a mercati chiave. Insomma, ogni crisi genera anche la sua cura. E quello che sembra negativo può diventare positivo o per dirla con Albert Einstein “la crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni perché può anche generare progressi”.