Talvolta la libertà di circolazione delle persone fisiche è utilizzata con finalità di evasione fiscale
A causa del conflitto in atto alcuni Stati hanno interrotto la pratica di concedere visti dietro promessa di investimenti
Francia, Italia, Regno Unito e l’America di Biden, per citare alcuni paesi, hanno, infatti, avviato una serie di verifiche sugli asset detenuti dai miliardari vicini al Cremlino per congelarne l’utilizzo e bloccare i movimenti economici.
Siffatta circostanza ha indotto molto rapidamente i miliardari russi a correre ai ripari, attraverso strategie (non sempre riuscite, si veda la scelta di Abramovich di cedere il Chelsea) di ricollocamento dei beni o di devoluzione e trasmissione di cariche societarie ad altri soggetti.
Ma non è tutto. A queste misure sanzionatorie, pensate per colpire prevalentemente i beni, si aggiungono anche quelle che incidono direttamente sugli individui.
In effetti, Malta e Grecia, limitando il commento a questi due Stati, hanno comunicato la decisione di sospendere il rilascio e la vendita dei cd. golden visa nei confronti degli oligarchi.
La vendita dei “passaporti d’oro” rappresenta ormai una consolidata e profittevole pratica portata avanti da alcuni Stati per fare cassa e garantirsi nuovi investimenti sul territorio e correlate (e consistenti) nuove entrate fiscali.
In buona sostanza, gli Stati riconoscono la cittadinanza o la residenza a un soggetto extra-Ue (che ha interesse a diventare cittadino dell’Unione) dietro il pagamento di un prezzo che può consistere anche nell’impegno di effettuare importanti investimenti sul territorio.
E invero, come ha sottolineato il Parlamento europeo in un report dedicato ai reati fiscali e ai fenomeni di evasione ed elusione sul territorio dell’Unione, le politiche adottate dagli Stati membri che hanno introdotto regimi di cittadinanza tramite investimenti (CBI – Citizenship by Investment) e di residenza tramite investimenti (RBI – Residency by Investment), possono a certe condizioni essere dannose per l’Ue in quanto si tratta di pratiche potenzialmente foriere di reati fiscali.
I meccanismi di rilascio dei golden visa e in generale di permessi di residenza o cittadinanza, da un lato, determinano una vera e propria svalutazione della cittadinanza dell’Ue, dall’altro, favoriscono – sostiene il Parlamento europeo – la corruzione, il riciclaggio di denaro e l’evasione fiscale.
Concedere permessi tenendo conto solo dei resoconti economici rischia di produrre più che cittadini dei veri e propri clienti, trasformando perciò il concetto di cittadinanza da status a privilegio; privilegio riconosciuto e concesso, tra l’altro, solo a determinate categorie di soggetti ad alta capacità contributiva ed economica.
In particolare, i visti più discussi e su cui più si è agito in seno alle Istituzioni europee, sono quelli che richiedono al nuovo contribuente (dunque al nuovo residente) una presenza fisica sul territorio del tutto irrilevante.
È perciò il caso di chiedersi se il conflitto in atto sta, tra le altre cose, incidendo anche su quelle storture che fino ad ora hanno caratterizzato alcuni sistemi giuridici e fiscali degli Stati membri. Stati membri che, ora, nel marasma della crisi si vedono costretti a fare un passo indietro e riconoscere, non troppo indirettamente, le potenzialità dannose che alcuni regimi preferenziali hanno per l’intera Unione.