A due anni dall’elezione di Donald Trump, gli Stati Uniti tornano alle urne per le elezioni di midterm. In gioco ci sono tutti i 435 seggi della Camera e 35 dei 100 seggi del Senato a stelle e strisce. Un voto decisivo per capire quanta libertà di movimento potrebbe avere Trump nei prossimi due anni. Ma anche un evento che potrebbe avere conseguenze significative sull’economia e sui mercati finanziari internazionali.
L’esito più probabile, comunque, è una Camera a guida democratica e un Senato repubblicano. In 23 delle ultime 26 consultazioni elettorali di questo tipo, il partito del presidente in carica ha perso terreno nella House of Representatives. In effetti, le probabilità di vittoria alla Camera per i Democratici sono alte, dovendo il partito conquistare solo 23 dei 435 seggi totali, oltre che naturalmente mantenere il presidio su quelli già occupati.
Ecco l’opinione di alcuni protagonisti del mondo degli investimenti.
Manuel Pozzi, direttore investimenti di M&G Investments
Nel caso in cui l’esito elettorale dovesse rispondere alle previsioni, ne beneficerebbe la spesa infrastrutturale, interesse comune a democratici e repubblicani. Il pragmatismo del presidente Trump potrebbe portare a un accordo con i democratici per dare nuova linfa a un settore in difficoltà: autostrade, aeroporti e ferrovie richiedono importanti investimenti di manutenzione. In materia commerciale non sono attesi cambiamenti rilevanti nei rapporti con la Cina o l’Unione europea visto il recente avvicinamento dei democratici verso posizioni più protezionistiche.
Un punto delicato potrebbe invece essere rappresentato dall’approvazione del bilancio data la differenza di priorità tra i due schieramenti, soprattutto in materia di spesa sanitaria. Ciò potrebbe, da una parte, spingere Trump a limitare ulteriori politiche di aumento del debito e, dall’altra, causare uno stallo temporaneo a livello di spesa pubblica, il cosiddetto shutdown già vissuto durante le presidenze Reagan e Obama. Se ciò dovesse accadere, ne risentirebbero i tassi di crescita americani, con un potenziale rallentamento della traiettoria di rialzo dei tassi da parte della Fed.
Al di là dei timori legati ai possibili impatti che l’esito elettorale americano potrà avere sull’economia e sui mercati finanziari, crediamo che l’approccio giusto agli investimenti debba essere il più possibile pragmatico, per evitare errori di finanza comportamentale o di percezione del rischio. Il portafoglio non va infatti posizionato in base a una scommessa sui risultati attesi dalle elezioni, ma alla luce delle valutazioni degli asset e dei loro fondamentali.
Il punto di partenza per un investitore con un orizzonte di investimento di medio e lungo termine deve essere sempre l’analisi dei dati più oggettivi, ovvero le valutazioni di mercato, il rendimento atteso e una attenta valutazione del rischio. Un approccio attivo basato sull’analisi dei fondamentali consente di identificare tatticamente le situazioni in cui la volatilità offre opportunità di investimento interessanti e dove il rischio è ben remunerato.
Talib Sheikh, head of strategy, multi-asset di Jupiter
I mercati sono diventati scettici nei confronti dei sondaggi – visti i recenti avvenimenti – ma in questo caso i numeri sembrano ben definiti. La prospettiva di ulteriori tagli fiscali sarebbe meno marcata, mentre gli attuali sgravi sulle tasse sarebbero solo provvisori. Si prevede tuttavia un sostegno bipartisan alla spesa nelle infrastrutture, il che potrebbe far crescere il Pil degli Stati Uniti dello 0,2% finanziato verosimilmente da un’espansione del deficit.
Un mantenimento del controllo di entrambe le Camere da parte del Partito Repubblicano sarebbe positivo per gli asset più rischiosi, alla luce della possibilità di un ulteriore allentamento fiscale e di una spesa nelle infrastrutture ma aumenterebbe il rischio di un brusco aumento dei rendimenti dei titoli di Stato, tenuto conto della dimensione del deficit e dell’attuale dinamica dell’inflazione.
Per quanto riguarda il nostro posizionamento, manteniamo un’esposizione agli asset statunitensi – nello specifico nel segmento high yield – dove vediamo poco probabile uno scenario recessivo a breve termine. Per quanto riguarda l’equity, le nostre posizioni sono modeste e continuiamo a preferire un approccio strategico in questa parte del portafoglio sebbene stiamo provando a riposizionarci su alcuni titoli azionari, specialmente quelli Us.
Rimaniamo cauti sull’area europea, ritenendo che sul medio termine l’economia statunitense e il dollaro statunitense continueranno a sovraperformare il resto del mondo. L’attuale stretta di liquidità potrebbe inoltre continuare a danneggiare gli asset europei. Le azioni dei mercati emergenti sono state maggiormente svalutate ma crediamo sia meglio aspettare livelli migliori per posizionarci.
Stephen Jones, cio di Kames Capital
E’ difficile ricordare delle elezioni di medio termine che abbiano attratto la stessa attenzione a livello internazionale, anche se non è una sorpresa data la natura controversa della presidenza Trump e il nuovo approccio degli Stati Uniti al resto del mondo. Queste politiche stanno già sfidando il modello di pensiero ortodosso riguardo globalizzazione e libero commercio e non sembra questa cosa sia arrivata alla fine. Da un lato il risultato delle urne non dovrebbe essere di particolare importanza, dato che dal 1926 l’azionario Usa ha generato rendimenti positivi nei nove mesi successivi alle elezioni nell’87% dei casi, a prescindere dall’esito del voto. Nonostante ciò, questa volta sembra diverso.
A nostro parere il mercato sta leggendo queste elezioni diversamente. Una chiara vittoria dei Repubblicani darebbe rinnovata carica a Trump, un bene per gli Stati Uniti (per economia, mercati, valute), ma una sfida per chiunque altro. Se i Democratici prendessero il controllo di entrambe le camere, il mercato reagirebbe in maniera pacata; le politiche della presidenza verrebbero frenate o addirittura ribaltate e il Congresso inizierebbe a mettere più pressione a Trump.
Probabilmente, il miglior risultato è un congresso diviso che reindirizzi le iniziative più estreme, ma senza impostare la retromarcia su quanto fatto finora. Molti Democratici simpatizzano con molti dei punti dell’agenda commerciale America First di Trump ed è improbabile che rinuncino al ruolo da leader che il presidente ha richiesto per gli Stati Uniti.