Riccardo Barbarini, responsabile Top Private del Gruppo Ubi, racconta il modello di servizio della divisione dedicata alla clientela private che intermedia asset pari a oltre 38 miliardi, suddivisi su 18mila relazioni (*)
Una buona gestione del portafoglio è condizione necessaria ma non sufficiente se si vuole interpretare il wealth management come un servizio in grado di abbracciare tutte le problematiche di tipo finanziario che i clienti private si trovano a fronteggiare
Per rimanere competitivi, gli operatori attivi in quest’area hanno dovuto e dovranno ancora sostenere forti investimenti, in tecnologia, competenze, servizi evoluti
Parlo di credito alle imprese, opportunità d’investimento nel mercato immobiliare, o in specifiche aziende, tramite club deal, supporto in operazioni di finanza straordinaria, ad esempio contestuali all’acquisizione di una azienda. Parlo di protezione del capitale e gestione del passaggio della propria ricchezza agli eredi, o creazione di trust o fondazioni per finalità sociali. I nostri clienti sono in larga parte imprenditori. Non dimentichiamoci che, secondo le stime, entro il 2030 passeranno di mano quasi 2000 miliardi di euro in Italia, circa il 20% della ricchezza netta delle famiglie che, calcola Banca d’Italia, vale quasi 10mila miliardi. Il trasferimento dei risparmi privati e delle responsabilità nella guida di un’azienda rappresenta un’esigenza latente, che è meglio sia affrontata per tempo, attraverso un percorso condiviso, un progetto chiaro.
Pianificare correttamente il passaggio generazionale significa anche strutturare un modello di governance efficace, in grado di superare e ricomporre eventuali conflitti tra le varie anime della famiglia, con l’obiettivo di dare continuità allo sviluppo dell’azienda.
Una continuità che, oggi, è messa a dura prova dall’emergenza sanitaria. Molte imprese rischiano di morire per la sete di liquidità.
In questa fase, tutti gli imprenditori soffrono, chi più chi meno. Avere come interlocutore una banca universale, in grado di esprimere una visione d’insieme sulla globalità del patrimonio del cliente, dalla componente personale a quella familiare e aziendale, può fare la differenza nel determinare la dimensione e la tempestività del supporto che la banca può concedere.
Quali sono le esigenze più complesse che vi capita di affrontare?
Un esempio concreto: di recente abbiamo erogato un prestito di svariate decine di milioni di euro al cliente di un family office, ora anche nostro cliente, con cui collaboriamo, per finanziare l’acquisizione di un’azienda, attraverso un pegno su titoli particolari non quotati. Lascio immaginare la complessità di questa operazione, sotto il profilo legale, procedurale e della tempistica.
Come vengono affiancati i clienti con esigenze così sofisticate?
Mettiamo a disposizione di questi clienti che, tipicamente, hanno un patrimonio personale di qualche decina di milioni di euro la nostra struttura Grandi Patrimoni, un team specializzato che comprende professionisti con competenze diversificate che lavora braccio a braccio con le varie strutture specialistiche della banca.
Si tratta di servizi che anche operatori più piccoli possono erogare appoggiandosi a studi professionali e società terze.
È vero, ma quello che fa la differenza per questi clienti è soprattutto l’execution: aver strutturato certe competenze all’interno della banca ci mette nelle condizioni di essere molto più veloci e flessibili nella “messa a terra” della soluzione individuata, caratteristica molto apprezzata dai clienti. Torniamo
al concetto di banca universale, che ci permette di fare tutto: dal leasing per la barca al finanziamento per l’acquisizione di un’azienda: attraverso i colleghi del corporate & investment banking possiamo affiancare il cliente in operazioni M&A, analizzare il valore del suo patrimonio immobiliare, costruire soluzioni d’investimenti personalizzate.
E per i clienti private che hanno esigenze meno articolate?
Una delle nostre punte di diamante è la consulenza evoluta, che noi chiamiamo Active Wealth Advisory. Si tratta di una piattaforma basata su un sistema molto sofisticato di controllo dei rischi. Siamo partiti nel 2005, quando nessuno ancora ne parlava.
Come andò all’inizio?
Non benissimo: i mercati erano in grande spolvero, attraversavano un momento di euforia, la percezione dei rischi era un po’ distorta.
Poi arrivò il 2008.
È lì che il nostro approccio iniziò a dare i suoi frutti. In questi dodici anni siamo cresciuti molto e oggi gestiamo oltre 6 miliardi di euro attraverso la consulenza evoluta. In questa fase è molto importante valutare correttamente i rischi, perché gli investitori possono sottovalutare determinati pericoli. Il risk management si applica a ogni singola voce nel portafoglio dei nostri clienti e questo ci consente di alzare subito le antenne nel momento in cui i parametri monitorati segnalano un aumento della volatilità oltre i livelli desiderati.
Che ruolo ha avuto la tecnologia negli ultimi due mesi?
Già prima del lockdown, il 60% circa delle transazioni della nostra clientela private avveniva in modalità paperless, senza carta. Eravamo strutturati per seguire i clienti a distanza ed è stato un vantaggio non da poco, in una fase come questa. Il nostro sistema di firma elettronica è particolarmente semplice, perché si basa sull’invio di un sms sullo smartphone certificato del cliente. Questo l’ha reso di facile utilizzo da parte di tutti i segmenti di clientela, anche anagraficamente più maturi, per autorizzare gli ordini. In definitiva la tecnologia nel nostro mondo deve avere due funzioni: semplificare la vita al cliente e favorire analisi di mercato e di portafoglio sempre più sofisticate, senza rinunciare alla semplicità a livello di reportistica.
Quale lezione possiamo trarre da questa emergenza?
Tutte le crisi tendono ad accelerare dei trend già in atto, costringendo ad affrontare criticità latenti in modo più deciso, prendendole di petto. A questo proposito mi ricordo una frase di Kennedy che trovo quanto mai attuale: “Scritta in cinese la parola crisi è composta da due caratteri. Uno rappresenta il pericolo e l’altro rappresenta l’opportunità”.
Cosa significa in relazione al wealth management?
Il private banking è un settore avvantaggiato, perché assorbe poco capitale. Per rimanere competitivi, però, gli operatori attivi in quest’area hanno dovuto e dovranno ancora sostenere forti investimenti, in tecnologia, competenze, servizi evoluti. In questo contesto gli operatori di grandi dimensioni, che hanno le spalle large, possono farvi fronte senza problemi. I player più piccoli sono costretti a unire le proprie forze o sono destinati a essere acquisiti. Il processo di concentrazione continuerà. Il wealth management quello che va, necessariamente, oltre la pura e “semplice” gestione di portafoglio non può essere alla portata di tutti.
(*) Intervista tratta dalla cover story del numero di maggio di We Wealth