La vittoria elettorale di Donald Trump ha fatto scendere l’oro di circa 5,5 punti, ma, secondo gli analisti di Goldman Sachs, ci sono molti motivi per approfittare di questo calo e comprare oro in vista di una crescita attesa fino a quota 3.000 dollari entro la fine del prossimo anno. Questo rialzo si tradurrebbe in un guadagno superiore al 15,5% rispetto al prezzo odierno di 2.595 dollari l’oncia.
“La recente incertezza politica negli Stati Uniti e la consolidazione dei prezzi offrono un punto d’ingresso interessante per la nostra visione strategica di lungo termine sull’oro”, hanno affermato dalla divisione commodities research di Goldman in una nota del 17 novembre. “Questo metallo prezioso gode di un supporto strutturale grazie alla crescente domanda da parte delle banche centrali, oltre che di un sostegno ciclico legato ai futuri tagli dei tassi da parte della Federal Reserve”. Ma se l’elezione di Trump non altera le previsioni della banca d’affari sull’oro, perché c’è stato questo brusco calo nelle ultime due settimane?
Oro un calo che potrebbe essere momentaneo
L’ipotesi di fondo è che le politiche di bilancio promosse dal presidente in pectore faranno aumentare l’inflazione, costringendo la Fed a tagliare i tassi meno del previsto. Quando ciò avviene, il rendimento dei bond diventa più allettante rispetto all’oro, che non paga né cedole né dividendi.
L’oro ha reagito alla vittoria di Donald Trump, evento che ha spazzato via le incertezze della vigilia assegnando ai repubblicani anche la maggioranza parlamentare. La combinazione tra un superdollaro, l’aumento dei rendimenti dei titoli del Tesoro statunitense e l’entusiasmo per le prospettive di rialzo dei mercati azionari ha spinto molti investitori a mettere temporaneamente da parte l’oro per orientarsi sulle azioni, ha spiegato a We Wealth Carlo Alberto De Casa, analista di Swissquote.
Il recente calo dell’oro, tuttavia, non sarebbe compatibile con altre dinamiche in grado di sostenerne il prezzo. Quali? In primo luogo, lo stesso aumento dell’inflazione e una possibile perdita di credibilità delle banche centrali sono fattori che “spingono l’inflazione e diminuiscono il valore degli asset nominali, mentre gli asset reali come l’oro preservano la ricchezza”, si legge nel rapporto di Goldman Sachs, “questo metallo prezioso gode di un supporto strutturale grazie alla crescente domanda da parte delle banche centrali, oltre che di un sostegno ciclico legato ai futuri tagli dei tassi da parte della Federal Reserve”.
Inoltre, il mandato ampio del presidente eletto Trump aumenta l’attrattiva generale delle materie prime come strumenti di diversificazione dei portafogli nel 2025. “In particolare, investire in oro e petrolio può fungere da copertura contro scenari estremi come: l’escalation dei dazi (che favorirebbe l’oro); interruzioni nell’offerta globale di petrolio per motivi geopolitici (a vantaggio di petrolio e oro); e paure legate al debito pubblico statunitense (che spingerebbero l’oro)”.
La previsione a 3000 dollari l’oncia
Di conseguenza, scrive la banca d’affari, “il nostro consiglio più forte è di investire sull’oro a lungo termine: la recente stabilizzazione del prezzo dell’oro, dopo le elezioni statunitensi, offre un’opportunità di acquisto”, con una previsione a 3.000 dollari l’oncia entro fine 2025 e “ancora più guadagni in scenari estremi”.
Lo dimostra anche il recente ritorno degli ordini di acquisto, che hanno riportato il prezzo dell’oro da 2.500 a 2.600 dollari l’oncia”. Secondo De Casa, è realistico aspettarsi che il metallo prezioso possa raggiungere nuovamente i suoi massimi, attorno a quota 2.800 dollari.
Parte delle incertezze attuali deriva dalle aspettative che hanno dato una forte spinta a Wall Street nei giorni successivi alla vittoria elettorale. L’agenda di Trump, ricorda De Casa, “può funzionare in un contesto di crescita economica sostenuta”, rendendo un deficit più elevato relativamente sostenibile grazie all’aumento del Pil. Tuttavia, il deterioramento delle finanze federali potrebbe spingere nuovi acquisti di oro, anche in uno scenario di rendimenti dei Treasury in rialzo. Se l’aumento dei rendimenti non fosse guidato soltanto da un’inflazione più alta del previsto, ma anche da preoccupazioni sulla gestione a lungo termine delle finanze pubbliche, la ricerca di un vero porto sicuro favorirebbe l’oro rispetto ai titoli di Stato statunitensi, conclude De Casa.
L’attesa è che la domanda di oro possa restare sostenuta, da un lato con l’aumento delle riserve delle banche centrali, un processo accelerato dopo il congelamento delle riserve russe, con un balzo da 16 tonnellate al mese a 84 tonnellate di acquisti a settembre. A questo elemento strutturale della domanda si aggiungerà una componente ciclica dovuta a un aumento delle partecipazioni in Etf sull’oro, previsto con il taglio dei tassi Fed al 3,25-3,5% entro il terzo trimestre del 2025.