La conquista della presidenza argentina da parte di Javier Milei, dopo il voto del 19 novembre, è stata anticipata da promesse di liberalizzazione radicale, tagli alla spesa pubblica, fino ad arrivare all’abolizione della banca centrale nazionale con l’adozione del dollaro come moneta ufficiale. Per quanto estremi, i primi punti del programma sono stati messi in pratica già a inizio mandato, a cominciare dalla svalutazione con la quale è stato più che dimezzato il cambio del peso argentino.
L’immagine mediatica di Milei corrisponde a quella di un uomo dai capelli arruffati che galvanizza i suoi sostenitori brandendo una motosega. Sembrerebbe un pessimo biglietto da visita per gli investitori, solitamente avversi e sospettosi al populismo e all’avventurismo politico.
Eppure, la Borsa argentina ha guadagnato quasi il 74% fra i livelli pre-elettorali e il 18 gennaio.
Non che questo sia stato necessariamente un affare per chi ha investito dall’estero. Chi avesse comprato azioni argentine dall’Italia prima della svalutazione del peso avvenuta il 13 dicembre avrebbe subito un deprezzamento del 58%: l’esito del rally post-elezioni, dunque, sarebbe negativo a -27,5%, una volta convertito il valore dell’indice S&P Merval in euro.
Un piano “choc” che convince Wall Street
“Il nuovo governo [Milei] ha avuto un inizio positivo sul fronte delle politiche macroeconomiche”, hanno scritto gli analisti di Bank of America in una nota del 16 gennaio, riconoscendo un “aggiustamento fiscale più ampio del previsto”, pari al 5% del Pil, “una forte svalutazione, un rapido accumulo di riserve e un accordo di livello tecnico con il Fmi”.
“I tagli alle sovvenzioni energetiche (che inizieranno a febbraio) si associano a un aumento dei costi energetici dovuti alla svalutazione”, ha affermato BofA, mentre “la recessione sarà probabilmente profonda nel primo trimestre, influenzando le entrate governative”. Uno degli interrogativi dei prossimi mesi sarà la capacità che Milei avrà di conservare il consenso, nonostante si prospetti un forte aumento del costo della vita per gli argentini, unito alla recessione.
La svalutazione del peso argentino, da un lato, ha sortito l’effetto positivo di consentire “un forte accumulo di riserve di valuta estera”, pari a 3 miliardi di dollari dall’entrata in carica di Milei. Dall’altro, però, l’inflazione è passata dal 12,8% al 25,5% fra novembre e dicembre, portando il tasso d’inflazione finale dello scorso anno al 211%.
Il precedente governo argentino aveva resistito alle svalutazioni della moneta nazionale proprio per evitare una crisi nel costo della vita, che avrebbe colpito inevitabilmente gli strati più poveri della popolazione. Per BofA, però, l’attuale incremento dell’inflazione è, in parte, l’effetto transitorio della svalutazione e della deregolamentazione adottata da Milei. Un’altra componente della corsa dei prezzi, però, deriva dalle “politiche espansive precedenti e dell’ampia indicizzazione diffusa”. La recessione dovrebbe contribuire a raffreddare l’inflazione, anche se questo è un processo che comporta notevoli sacrifici sociali.
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L’avallo del Fmi e altri 4,7 miliardi in prestiti
Lo scorso 10 gennaio il Fondo monetario internazionale, ha concesso un credito per ulteriori 4,7 miliardi, avallando le politiche adottate fin qui dal governo Milei. “L’esborso proposto è destinato a sostenere i forti sforzi politici delle nuove autorità per ripristinare la stabilità macroeconomica e aiutare l’Argentina a soddisfare le esigenze della sua bilancia dei pagamenti”, si legge nella nota ufficiale. “La nuova amministrazione ha ereditato una situazione economica e sociale eccezionalmente difficile”, ha aggiunto il Fmi, “con squilibri macroeconomici in aumento che riflettono principalmente politiche incoerenti ed espansive, soprattutto negli ultimi trimestri dello scorso anno”.
Secondo l’istituzione internazionale, spesso criticata in passato per aver promosso politiche liberiste dai grandi costi sociali, Milei si è mosso “rapidamente e con decisione per sviluppare e iniziare ad attuare un solido pacchetto di politiche”, per combattere l’inflazione e ricostituire le riserve di valuta estera della banca centrale, in precedenza “esaurite” per sostenere il cambio del peso.
Nonostante l’appoggio a Milei, lo stesso Fmi ammette che “le condizioni [dell’Argentina] peggioreranno prima di migliorare”.
Nel suo intervento al World Economic Forum, pronunciato a Davos il 17 gennaio, il presidente Milei ha individuato nelle politiche sociali del “mondo Occidentale” le radici dei suo declino. L’Occidente “è in pericolo”, ha esordito Milei, “perché coloro che dovrebbero difendere i valori dell’Occidente sono cooptati da una visione del mondo che porta inevitabilmente al socialismo e, di conseguenza, alla povertà”.
Per il momento, la popolarità del neo eletto presidente argentino presso i suoi elettori sembra rimanere forte, anche se il supporto della popolazione non sarà scontato nei prossimi mesi di restrizione fiscale e di forte inflazione. A dispetto delle pose eccentriche, Milei può contare sull’appoggio degli economisti “ortodossi” del Fmi e dei mercati, che continuano a spingere l’indice azionario argentino.