Alla fine del 2022 le previsioni degli analisti erano, per la prima volta da molti anni, prevalentemente negative. Si prevedeva un calo delle azioni per l’anno successivo, mentre l’economia sarebbe dovuta andare, con grande probabilità, in recessione. Nei fatti, la recessione non si è verificata e chi ha investito a inizio 2023, molto probabilmente, quest’anno ha guadagnato. Infatti, la gran parte delle classi di attivo, ossia le famiglie principali su cui è possibile investire, si apprestano a chiudere l’anno in rialzo – con poche eccezioni.
Azioni
L’indice della Borsa statunitense, l’S&P 500, è stato particolarmente generoso quest’anno, con un rendimento assoluto del 26,4%, che include dividendi e altre forme di remunerazione (questo dato e i successivi sono aggiornati al 26 dicembre, salve differenti indicazioni). La Borsa italiana non è stata da meno, grazie a un ritorno assoluto del 25,9% al 27 dicembre. A differenza dell’azionario americano, sono state soprattutto le banche e i loro profitti record di quest’anno ad aver trainato le performance di Piazza Affari.
Bond
Anche le obbligazioni, che hanno arrancato per buona parte dell’anno, quando l’inflazione era apparsa più persistente del previsto, si apprestano a chiudere l’anno in attivo: l’S&P 500 Bond Total Return indica un rendimento vicino all’8%. Tanto è bastato a riportare in alto i rendimenti del classico portafoglio bilanciato che combina azioni e obbligazioni per moderare performance e volatilità. Il problema emerso negli ultimi anni è che, però, azioni e obbligazioni continuano a muoversi in coppia riducendo l’efficacia di questa diversificazione in termini di riduzione del rischio.
Oro
La lista delle asset class vincitrici prosegue con l’oro, che ha ottenuto una performance (S&P Gsci Gold) del 12,6%, ancor più entusiastica rispetto a quella delle obbligazioni. Ad aver spinto il metallo giallo è stata una combinazione di fattori che va dalla copertura dei rischi geopolitici all’aspettativa del calo dei tassi, che favorisce gli asset che, come l’oro, non pagano cedole (e che diventano più convenienti di altri “beni rifugio” che offrono flussi di rendimento periodico come i Treasury Usa). Per chi ha investito dall’Italia la performance dovrà essere limata di circa 3,5 punti percentuali a causa dell’indebolimento del dollaro (moneta nella quale è scambiato l’oro) sull’euro.
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Critptovalute
Per quanto ancora al di fuori dei portafogli più tradizionali, va ricordato come anche il mercato delle criptovalute, dato per morente alla fine del 2022, si sia ripreso in modo sostenuto. Il Bitcoin, in attesa dell’approvazione negli Stati Uniti di un Etf che investa direttamente sulle monete digitali (e non in derivati finanziari), ha messo a segno una performance da inizio anno al 27 dicembre pari al 157%, paragonabile a quella delle migliori azioni del 2023 all’interno dell’S&P 500.
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Le asset class in perdita nel 2023
Nel gruppo delle asset class che hanno registrato una flessione rientrano, dopo l’exploit del 2022, le materie prime. Nonostante il perdurare del conflitto in Ucraina e l’esplosione della violenza in Israele, l’indice Dow Jones Commodity Index TR, che traccia l’andamento delle principali materie prime, si trova in calo del 2,67% al 26 dicembre.
Fra le maggiori delusioni del 2023, però, spiccano soprattutto le azioni cinesi – che meritano un capitolo a parte viste le rosee speranze di inizio anno. L’indice S&P China 500 (USD) TR aveva registrato una performance molto robusta per tutto il mese di gennaio, prima di entrare in un tunnel discendente che è proseguito fino alla fine del 2023. Il risultato, al 26 dicembre, è un rosso del 15,8%, che non migliora molto se si prende in esame il più popolare indice Csi 300, in calo di oltre il 14% da inizio anno. La revisione al ribasso della crescita cinese nel lungo termine e la trasformazione verso un’economia meno guidata dalle esportazioni hanno spinto i gestori a lasciare il mercato cinese, anche se per il 2024 alcuni esperti credono in un rimbalzo – alla luce delle valutazioni molto contenute cui sono scese le azioni cinesi.
Un’altra delusione, in questo caso più prevedibile in un contesto di tassi d’interesse elevati, è stata quella del private equity, le cui valutazioni sono scese nella misura più ampia dai tempi della Crisi Finanziaria. Le società non quotate, dopo il calo dei mercati pubblici nel 2022, hanno avuto una revisione al ribasso del proprio valore a scoppio ritardato. Il calo nelle valutazioni è stato da 11,9 a 11,2 volte l’Ebitda, secondo la società di analisi di dati PitchBook, con un 75% dei portafogli di private equity attualmente con flusso di cassa netto negativo.
Uno sguardo al 2024
Cosa aspettarsi nel 2024? Secondo il sondaggio pubblicato questo mese sul mensile We Wealth i gestori hanno una visione prevalentemente positiva: in particolare i bond si avviano, con un consenso molto elevato, a realizzare performance molto solide in seguito all’atteso calo dei tassi d’interesse.
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