Non sono più le banche centrali a guidare la crescita dei prezzi dell’oro, ma gli investitori e la loro domanda di oro “finanziario” sotto forma di fondi ed Etf. Lo mostrano i dati dell’ultimo Gold Demand Trends del WGC: nel primo trimestre del 2025, la domanda totale di oro (inclusi gli investimenti OTC) è aumentata dell’1% su base annua, raggiungendo 1.206 tonnellate, il miglior risultato per un primo trimestre dal 2016.
Dietro questo record c’è il più che raddoppio della domanda proveniente dagli afflussi in ETF: 552 tonnellate (+170% annuo), il livello più alto dal primo trimestre del 2022. Insieme all’oro “finanziario”, resta elevata anche la domanda di oro fisico per investimenti al dettaglio: 325 tonnellate tra lingotti e monete, il 15% sopra la media quinquennale trimestrale, con la Cina a trainare gran parte della crescita grazie al suo secondo miglior trimestre di sempre negli investimenti retail.
E le banche centrali? Hanno continuato a comprare, ma con meno slancio. La domanda ufficiale è stata di 244 tonnellate, in calo del 16% rispetto all’ultimo trimestre del 2024. In termini assoluti, si tratta comunque di un livello robusto: 24% sopra la media quinquennale e “solo 9% sotto la media degli ultimi tre anni, caratterizzati da una domanda molto elevata”.

Questo rallentamento suggerisce che, in questo avvio d’anno, a spingere davvero la corsa dell’oro siano stati soprattutto gli investitori in cerca di riparo: non solo dai rischi geopolitici, ma anche dalla crescente perdita di fiducia nei confronti del Treasury americano – minacciato dal peso del debito federale e dalla prospettiva di un dollaro meno centrale nel sistema globale, complice l’approccio protezionista dell’amministrazione Trump.
Da inizio anno al 30 aprile, il future sull’oro ha guadagnato il 24,9%, contro un calo di circa il 5% dell’S&P 500. Ancor più impressionante è il confronto su base pluriennale: un investimento in oro fatto a inizio 2020, prima del crash da Covid, avrebbe reso +110%, contro l’+85% dell’S&P 500, includendo anche dividendi e cedole. Il sorpasso si è concretizzato a fine marzo.
Negli ultimi mesi la corsa dell’oro è stata talmente intensa che oggi, dal 2017 a oggi (si osservi graficon in basso), un investimento in oro e uno sull’indice azionario USA avrebbero dato circa lo stesso rendimento – ma con il vantaggio, per l’oro, di minori ribassi improvvisi. Tradotto: un ritorno più efficiente a parità di rischio.

Sebbene nessuna di queste considerazioni offra certezze per il futuro, è significativo che un bene rifugio, concepito più per proteggere il patrimonio che per accrescerlo, abbia pareggiato l’azionario USA su un orizzonte di otto anni – che in finanza rientra già nella definizione di “lungo periodo”.
Sul fronte delle prospettive, il World Gold Council prevede che il motore che ha alimentato l’oro negli ultimi anni – gli acquisti delle banche centrali – continuerà a girare a pieno regime. “La diversificazione delle riserve delle banche centrali continua, con una riduzione dell’esposizione verso asset statunitensi, sebbene ci sia stato un leggero aumento a febbraio”, si legge nel report. “Non vediamo la fine di questa tendenza a meno di un cambio significativo nello scenario geopolitico”.
Una riflessione che si inserisce bene nella realtà attuale, all’indomani del Liberation Day. “Il Fmi ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita degli Stati Uniti più di quanto abbia fatto per altri Paesi avanzati, citando incertezze di politica economica. Questo suggerisce che altri Paesi potrebbero godere di un maggior potere negoziale, anche se i negoziati geopolitici richiedono mesi o anni, non settimane. Non ci aspettiamo dunque soluzioni nel breve termine”.
Dall’altra parte, la domanda da parte degli investitori – vero motore dei prezzi più recenti – potrebbe rimanere sostenuta. “Gli investimenti continueranno a crescere a causa dei rischi di stagflazione nel breve termine, del rischio di recessione nel medio periodo, dell’elevata correlazione tra azioni e obbligazioni, dell’aumento previsto dei deficit Usa e delle persistenti tensioni geopolitiche”, si legge nel report.
Gli acquisti di lingotti e monete, si prevede, resteranno resilienti, più che esplosivi, poiché la motivazione legata al rischio sarà bilanciata dalla crescente sensibilità verso prezzi già molto alti. Il tutto in un contesto dove la domanda di gioielli è in calo, penalizzata dal costo sempre più elevato, mentre gli usi tecnologici dell’oro potrebbero subire un leggero rallentamento, complice la frenata della crescita globale.