Niccolò Bardoscia è l’uomo dall’altra parte dello screenshot, quello che nel giro di qualche ora ha fatto trapelare la notizia che, lunedì mattina, Intesa Sanpaolo aveva concluso con successo la sua prima operazione di investimento diretto in Bitcoin: 11 monete, per la precisione, con un controvalore di circa un milione di euro. Bardoscia, capo del trading degli asset digitali in Intesa Sanpaolo, aveva già raccontato lo scorso aprile, in un evento del Digital Gold Institute, come la sua banca stesse studiando attivamente le criptovalute. Ci si chiedeva, allora, come mai esistesse un team per gli asset digitali in Intesa Sanpaolo anche se, allora, nessuno aveva ufficialmente parlato di proporre criptovalute alla clientela. Il “test” da un milione di euro, con cui Intesa Sanpaolo ha completato il suo primo trade importante in Bitcoin (finora senza precedenti noti pubblicamente), apre la strada a una fase due che, un giorno non lontano, potrebbe includere il possesso diretto di criptovalute da parte della clientela della banca.
A confermarlo martedì è stato lo stesso amministratore delegato di Intesa, Carlo Messina: “Un leader europeo non può sottrarsi al compito di testare soluzioni che vengono richieste dai clienti super private”, ha detto a un evento organizzato da Confindustria. “Noi oggi siamo una grande realtà anche nel mondo della gestione dei patrimoni per soggetti con elevata professionalità e ingenti disponibilità economiche. Se qualcuno di questi clienti ci chiedesse di realizzare un investimento, non possiamo non aver testato la fattibilità di quell’investimento”.
La notizia, per il momento, è che la fattibilità è stata testata e che per Intesa Sanpaolo non basta offrire criptovalute attraverso prodotti finanziari quotati che ne replicano il valore, evidentemente perché i clienti vogliono il Bitcoin, non l’Exchange traded product sul Bitcoin. “Qualsiasi desk finanziario potrebbe ottenere esposizione alle criptovalute tramite strumenti come gli Etn, ma è la prima volta che una criptovaluta viene acquistata direttamente”, dice a We Wealth Michele Mandelli, managing partner di CheckSig, una società che offre servizi di custodia crypto per investitori privati e istituzionali. Tuttavia, “i clienti, soprattutto quelli con elevata disponibilità economica, sembrano sempre più orientati verso il possesso diretto di criptovalute”. Per questo motivo Intesa Sanpaolo avrebbe compiuto questa sperimentazione.
D’altro canto, racconta Mandelli, in Europa il mercato degli Etf fisici sulle criptovalute è ancora inesistente, anche perché “molti intermediari finanziari non li rendono disponibili ai propri clienti, e la maggior parte delle banche non offre questi prodotti direttamente tramite le piattaforme di home banking”. Inoltre, gli strumenti finanziari legati alle criptovalute offerti in Europa presentano inefficienze, come la necessità di operare esclusivamente negli orari di borsa e, come tutti i prodotti finanziari, prevedono costi.
Crypto in banca una rivoluzione che partirà dall’alto
Il ceo di Intesa Sanpaolo ha voluto sottolineare come, per una grande banca, “un milione di euro” sia una cifra che “riflette una disponibilità molto limitata da parte della banca a investire direttamente su questo tipo di strumenti”. Il punto, però, non è tanto la grandezza dell’acquisto, secondo Mandelli: l’operazione infatti testimonia l’implementazione di nuovi processi interni, risolvendo pezzi complessi del puzzle normativo e operativo. “Questo traguardo apre la strada a un futuro in cui sempre più banche svilupperanno le proprie strategie in ambito crypto”, dice il managing partner di CheckSig. “Entro il 2025-2026, è prevedibile che la maggior parte degli intermediari finanziari offrirà servizi dedicati alle criptovalute, spinti non solo dalla domanda dei clienti, ma anche dal nuovo quadro normativo MiCAR, che eserciterà appieno i suoi effetti a partire da giugno”.
A giudicare dalle parole di Messina, l’entrata delle criptovalute nell’offerta bancaria partirà dall’alto, dal segmento del private banking: lo stesso che può permettersi il lusso di rischiare anche in strumenti dal profilo di rischio-rendimento più elevato come il private equity o il venture capital. Offrire il possesso delle cripto anche ai piccoli risparmiatori sarebbe decisamente più controverso per le banche – e infatti Messina ha subito frenato: “Se mi chiedete un consiglio personale, direi che per una famiglia o per un operatore non sofisticato dal punto di vista professionale, questi investimenti non sono mai raccomandabili. Io stesso non li farei, non li consiglierei a mia madre e nemmeno ai miei familiari”.
Il problema è che i piccoli risparmiatori il modo di comprare criptovalute lo trovano comunque e, secondo i sostenitori del Bitcoin come Mandelli, questo li espone al rischio di intermediari inaffidabili – come quelli che in passato sono falliti o sono stati svaligiati da attacchi informatici. La clientela private, comunque, potrebbe desiderare la comodità di farsi assistere dal proprio banker anche sulle criptovalute senza doversi sporcare le mani personalmente – con la scocciatura di dover scegliere e seguire i rapporti con piattaforme di scambio dai nomi poco familiari.
E se questo servizio dovesse iniziare a essere disponibile presso altre banche, presto il tema diventerebbe terreno di concorrenza fra chi offre già servizi crypto e chi no. Quando una grande banca come Intesa segnerà la strada, potrebbe essere più facile che le altre seguiranno a ruota.