La crescita dell’Eurozona continua abbastanza spedita, ancorché rallentata da incertezze di varia natura che si spera siano di breve periodo. Ciò però avviene in un contesto di persistente divergenza nelle performance degli Stati membri che rende più difficile condurre una politica monetaria adatta alle esigenze di tutti i paesi che hanno adottato la moneta unica. Le infrastrutture sono una dimensione lungo la quale l’Italia ha accumulato un gap rispetto al resto dell’Eurozona, che durante la crisi si è ulteriormente allargato, in termini sia di dotazione, sia di qualità: tra i tanti indici disponibili, quello del Kiel Institute for the World Economy ci vede al 24° posto, dietro la Spagna. Per colmarlo saranno necessarie ingenti risorse aggiuntive: secondo il Global Infrastructure Outlook di Oxford Economics, da qui al 2040 serviranno 300 miliardi di euro di fondi extra.
Le Raccomandazioni per il Semestre europeo 2018, rese note il 23 maggio, in pieno psicodramma politico giallo-verde, hanno ribadito l’importanza delle infrastrutture e degli investimenti pubblici per riportare l’Italia lungo il sentiero della convergenza. La Commissione raccomanda in particolare di intervenire sull’amministrazione pubblica, sui tempi della giustizia, sulla governance delle imprese pubbliche, così da indurre gli investitori a scommettere sulle infrastrutture italiane. Nella XVII legislatura (2013-18) sono stati fatti importanti progressi, in particolare maggiore certezza delle risorse, più efficace utilizzo dei fondi internazionali (si pensi al Piano Juncker è servito per rinnovare il materiale rotabile delle Ferrovie Nord Milano e per allargare la A4), miglioramento qualitativo della progettazione e degli studi di fattibilità, condivisione delle opere.
Con 20 anni di ritardo, a marzo 2018 è stato introdotto il modello francese del débat public obbligatorio per le grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale, aventi impatto sull’ambiente, sulla città o sull’assetto del territorio. Progressi ulteriori potranno realizzarsi dando piena attuazione alla riforma del trasporto pubblico locale, che prevede l’adozione del modello di calcolo dei costi standard in sede di ripartizione tra le Regioni del Fondo per il contributo dello Stato ai costi del Trasporto pubblico locale (e l’abbandono progressivo del criterio ormai anacronistico della spesa storica). Meno unanime il giudizio a proposito del Codice dei contratti pubblici, approvato originariamente dal Parlamento quasi all’unanimità. In un Paese dove le pratiche sospette negli appalti sono state a lungo all’ordine del giorno, un controllo molto attento e quasi certosino è indubbiamente necessario, senza però ingessare procedure che necessitano di un certo margine di flessibilità e velocità di esecuzione. La soluzione passa da revisioni periodiche e appropriate che recepiscano le preoccupazioni e i suggerimenti che le imprese veicolano in consultazioni trasparenti.
Negli ultimi due decenni, non proprio di grande progettualità, qualche progresso è stato fatto: si pensi all’alta velocità (che però inizia a patire del proprio successo anche sulla dorsale Nord-Sud, rendendo imperativo iniziare a pensare al suo rinnovo), oppure allo skyline di Milano. Progetti che hanno contribuito alla crescita economica e che, certo non a caso, hanno suscitato l’interesse di investitori internazionali.
Nella XVIII legislatura la priorità per le infrastrutture è dare continuità agli sforzi importanti degli ultimi anni, migliorando laddove necessario, ma senza cadere nella velleitaria e narcisistica tentazione della politica dei grandi annunci che siano di nuove opere, o di sospensione dell’esistente. I progetti infrastrutturali vanno inseriti in una visione chiara dell’avvenire del Paese (che non può prescindere dal ritorno della crescita della produttività e dalla riduzione delle fratture territoriali), valutati sulla base di criteri rigorosi e trasparenti, costruiti in maniera sostenibile e con l’intervento dell’iniziativa privata (ove conveniente), garantiti da un quadro regolatorio coerente e consistente.
Tra le aree prioritarie, la mobilità e l’acqua. Nel primo caso, è più serio discutere seriamente di come finanziare e realizzare l’alta velocità (in primis Lione -Torino e terzo valico), treni regionali e metropolitane, piuttosto che divagare su auto elettrica e piste ciclabili come soluzioni miracolose. Nel secondo, è discutibile che la difesa a oltranza della proprietà pubblica sia la strada giusta per riparare i guai prodotti da decenni di incuria: per combattere le perdite della rete idrica italiana, in cui si spreca il 41% dell’acqua immessa, ci vogliono ingenti investimenti (che lo Stato non ha) e bisogna alzare le tariffe, oggi tra le più basse d’Europa. Tutto il resto è polemica stantia sulla pelle degli italiani, che non possono permettersi questo lusso.