Ancora a fine maggio, con l’avvicinarsi della scadenza per mettere al riparo la solvibilità dello Stato federale, le scommesse dei gestori contro il mercato azionario Usa, avevano raggiunto il loro massimo dal 2011
Considerata la tendenza a lungo termine rialzista sul mercato azionario, i gestori patrimoniali hanno spesso messo in evidenza come il tentativo di evitare potenziali ribassi potesse risultare, statisticamente, in una marcata riduzione dei ritorni
Fino allo scorso marzo, le premesse per scommettere contro il mercato azionario, in particolare negli Stati Uniti sembravano esserci tutte. La Fed aveva alzato i tassi ininterrottamente da un anno, il sistema bancario stava subendo forti deflussi dai depositi dopo il fallimento di due istituti di credito; a quel punto le possibilità di un “atterraggio morbido dell’economia” apparivano davvero poche. Ancora a fine maggio, con l’avvicinarsi della scadenza per mettere al riparo la solvibilità dello Stato federale, le scommesse dei gestori contro il mercato azionario Usa, avevano raggiunto il loro massimo dal 2011, aveva riportato il Financial Times. Si puntava, in buona sostanza, a guadagnare dal previsto calo dei mercati; che però non c’è stato.
Ancora una volta, le svolte del mercato hanno colto di sorpresa gli esperti, ritorcendosi contro chi, con tutti presupposti apparentemente a favore, aveva scommesso sull’andamento negativo della Borsa. Secondo i dati S3 Partners riportati dal Wsj, infatti, le scommesse ribassiste sono costate 120 miliardi di dollari di perdite da inizio anno, di cui 72 miliardi solo nella prima metà di giugno.
L’orientamento del mercato è diventato positivo, scottando chi aveva aperto delle posizioni corte – che rendono all’inverso, quando il mercato scende. La Federal Reserve si è presa una pausa nel ciclo di rialzi dei tassi, mentre il mercato del lavoro continua a indicare una robustezza che potrebbe alimentare la fiducia dei consumatori e moderare il rallentamento dell’economia, atteso in seguito ai massicci rialzi dei tassi.
Un appettito per il rischio di nuovo sui massimi
L’indicatore sintetico della Cnn sugli orientamenti degli investitori, il Fear & Greed, è cresciuto ancora nella settimana al 20 giugno, portandosi a 82 punti su 100, una lettura che indica “estrema avidità”. Il 15 marzo scorso, nel pieno della crisi successiva al fallimento di Silicon Valley Bank, l’indicatore era a 23 punti: la trasformazione del sentiment, dunque, è stata assai marcata. Fra gli indicatori attualmente di segno “toro”, si osserva il rapporto tra opzioni put e call attualmente a 0,7, il che indica che le opzioni orientate all’acquisto (che mostrano un’attesa di rialzo sul mercato Usa) sono su livelli particolarmente elevati e mai osservati in oltre un anno. Anche l’ampiezza dei rialzi nella Borsa di New York, che rivela quanto la tendenza agli acquisti sia estesa a largo numero di titoli, sta aumentando da inizio giugno – ancora una volta, un segno che l’orientamento rialzista si sta facendo “generalizzato” e meno circoscritto a poche azioni.
Anche l’indicatore sull’appetito per il rischio elaborato da Goldman Sachs, con un livello di 0,8 punti, si è portato sui livelli più elevati dalla fine del 2022.
Le ragioni di questa euforia sono molteplici. L’attesa per il raggiungimento del picco ai rialzi dei tassi sembra essersi in parte realizzata (anche se la Fed ha parlato di nuovi inasprimenti in arrivo) e il boom dell’intelligenza artificiale hanno spinto soprattutto i titoli tecnologici in questa prima metà d’anno. La performance da inizio 2023 del Nasdaq Composite è superiore al 31% alla chiusura del 19 giugno. A questi fattori si sono aggiunta una maggiore fiducia sull’atterraggio morbido dell’economia. “I mercati escono da un’intensa settimana delle banche centrali con un tono positivo… l’ottimismo dell’Ia e la narrazione di un atterraggio morbido hanno sostenuto gli asset rischiosi”, hanno affermato gli analisti di Goldman Sachs, “la nostra probabilità di recessione nel prossimo anno è scesa al di sotto del 50%”.
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Considerata la tendenza a lungo termine rialzista sul mercato azionario, i gestori patrimoniali hanno spesso messo in evidenza come il tentativo di evitare potenziali ribassi potesse risultare, statisticamente, in una marcata riduzione dei ritorni.
Ciononostante, gli stessi professionisti del risparmio, compresi i gestori dei fondi attivi, provano a praticare questa strategia e in alcuni casi a scommettere sul ribasso del mercato per brevi periodi. E’ una strategia rischiosa che ha reso celebri hedge fund manager come Michael Burry, ma che spesso si rivela controproducente come avvenuto in questa prima metà del 2023.
Per i risparmiatori più “semplici”, lo short selling (o vendita allo scoperto) non è un’opzione molto considerata: la scelta spesso ricade fra investimenti più prudenti (liquidità, fondi monetari, oro) e più rischiosi (azioni, bond speculativi). Ridurre il rischio può essere necessario se una perdita a breve termine non è tollerabile.
Nel caso contrario, la statistica suggerisce che restare saldi a una strategia di più ampio respiro permette di non perdere le migliori giornate di rialzo sui mercati, che si verificano spesso a poca distanza dall’orso. Sul tema le ricerche sono numerose. Una delle più recenti, realizzata da Putnam Investors, ha mostrato come un investimento da 10mila dollari nell’S&P 500 a fine 2007, sarebbe arrivato a 35.461 dollari restando sempre investiti a fine 2022. Se si fossero perse nel percorso le 10 migliori sedute di Borsa, però, il valore dell’investimento si sarebbe più che dimezzato a 16.246 dollari. Si tratta di una simulazione, va detto, che non considera quante “cattive sedute” possano essere evitate limitando i rischi, vendendo azioni e aumentando la liquidità. Tuttavia, spesso accade che si decida di vendere proprio quando parte delle perdite sui mercati si sono già materializzate.