La filantropia è una realtà consolidata negli Stati Uniti, nelle prassi delle società di consulenza di alto profilo e nei family office, che considerano il purpose, il senso ultimo, come parte integrante della gestione della ricchezza. L’Associazione Italiana del Private Banking (AIPB), con un evento interamente dedicato alla filantropia, traccia una rotta per un’attività di consulenza che in Italia è ancora di nicchia e scarsamente misurata.
Non è chiaro quanta filantropia sia presente oggi nel private banking italiano in termini di volumi annui, ma sembra evidente la volontà di integrare questo servizio tra gli elementi distintivi del settore. Una ricerca condotta da Finer già nel 2022 rilevava che tra il 55% e il 66% dei clienti del private banking sarebbe favorevole a ricevere consulenza filantropica all’interno della gestione patrimoniale.
La filantropia è “estremamente strategica” per il private banking, che deve superare un problema tradizionale legato alle donazioni, ha affermato Stefania Pedroni, presidente della Commissione Tecnica “Wealth Planning” di AIPB. Per il banker, la filantropia può rappresentare una perdita di massa: una parte del patrimonio sotto gestione esce dal sistema finanziario tradizionale — con eventuali conseguenze anche per le remunerazioni dello stesso professionista — per entrare in circuiti diversi, quelli del terzo settore. Storicamente, accrescere il patrimonio è sempre stato il patto di mutuo beneficio tra private banker e clientela. Come si concilia questo con esigenze puramente extrafinanziarie?
Era una domanda che finora non aveva risposte chiare e, probabilmente, un dubbio di fondo che spiega perché la filantropia sia stata trattata in modo marginale nel settore, non certo come un’attività di default della pianificazione patrimoniale di alto profilo. Una possibile soluzione è “far passare il concetto che le donazioni spot, pur nobilissime, non siano l’unica strada e che possa esistere una strategia filantropica più strutturata, che tenga il filantropo coinvolto”, ha affermato Pedroni, citando i fondi filantropici e le fondazioni. In questo modo, “la filantropia non è solo decrementativa sulle masse gestite: quando è strategica, non lo è”.
Il settore offre oggi margini di crescita enormi. Pedroni ha evidenziato come solo l’1% dei patrimoni di alto profilo in Italia venga destinato a scopi filantropici, mentre negli Stati Uniti è una realtà ben più consolidata. Oltreoceano, i fondi filantropici (Donor Advised Fund) rappresentano una realtà strutturata: ogni anno, circa 230 miliardi di dollari vengono destinati alla filantropia attraverso questi strumenti. Anche in Italia, però, c’è spazio per una forte espansione. Da qui al 2040, i patrimoni senza eredi—i più ricettivi nel destinare una parte consistente alla filantropia sotto varie forme di lasciti—potrebbero valere fino a 88 miliardi di euro, ha affermato Pedroni.
Il private banker come il profilatore del filantropo
Questa evoluzione può rappresentare un’opportunità strategica per il private banking, la cui profonda conoscenza degli orientamenti della clientela può favorire una mediazione più efficace rispetto a figure giuridiche come notai o avvocati nella definizione delle aspirazioni filantropiche del cliente.
“Prima ancora di scegliere uno strumento, è fondamentale profilare con precisione il filantropo per chiarire quali strumenti adottare e a quali strutture giuridiche ricorrere per esercitare la propria beneficenza nel modo desiderato”, ha dichiarato Andrea Vicari, Presidente della Corte per il Trust e i Rapporti Fiduciari della Repubblica di San Marino.
Ogni strumento filantropico ha infatti una funzione specifica, che si adatta a una determinata tipologia di donatore. “È lo stesso principio della consulenza finanziaria: prima di investire, si analizza il profilo dell’investitore; lo stesso ragionamento dovrebbe valere per i professionisti che si occupano di filantropia”, ha spiegato Vicari.
“Se guardiamo alla filantropia in Italia, ci accorgiamo che è ancora un fenomeno raro. Spesso si tratta di un impulso: il cliente decide di fare una donazione, magari per ragioni emotive, e chiede ai consulenti di occuparsi degli aspetti fiscali, difensivi e burocratici. Tuttavia, questa visione è limitata, perché manca una strategia di lungo periodo”, ha continuato Vicari. “Non sempre la donazione è la strada più compatibile con chi desidera sostenere o promuovere una causa. Questa soluzione può essere perfetta se si concepisce la beneficenza come un atto intimo, da mantenere tra sé e la propria coscienza. Ma chi volesse costruire qualcosa di continuativo o cercare un riconoscimento sociale per il ruolo che ha saputo dare alla propria ricchezza e alla propria esperienza di vita, dovrà guardare altrove.”
“La differenza è sostanziale: chi dona per impulso vuole un risultato immediato, chi cerca un impatto duraturo ha bisogno di strumenti giuridici che permettano una pianificazione strutturata”, ha affermato Vicari, “se proponiamo la soluzione sbagliata a un filantropo impulsivo, rischiamo di allontanarlo, mentre se un donatore strategico viene indirizzato verso strumenti inefficaci, non raggiungerà mai i suoi obiettivi”.
I principali strumenti per dare forma alla filantropia, secondo Vicari, sono:
- Donazione diretta, che si esaurisce con l’atto stesso della donazione.
- Fondazione, ente dotato di personalità giuridica con un patrimonio destinato a finalità filantropiche.
- Trust, trumento giuridico flessibile che consente di destinare beni a uno scopo specifico, affidandone la gestione a un fiduciario (trustee) nell’interesse di beneficiari designati. Può essere utilizzato per scopi filantropici, garantendo riservatezza, personalizzazione della gestione e una protezione patrimoniale superiore rispetto ad altri strumenti, senza obbligo di registrazione pubblica.
- Fondi filantropici, che permettono di gestire le donazioni in modo più flessibile, delegando l’operatività a strutture specializzate.
Le fondazioni sono gli enti che offrono il massimo riconoscimento sociale, facendosi direttamente promotrici di iniziative a lungo termine. L’esempio più noto è quello della Bill & Melinda Gates Foundation, che ha sostenuto numerosi progetti umanitari nei Paesi più svantaggiati. Tuttavia, “a questo grande riconoscimento si affianca una gestione complessa, che richiede competenze specifiche”, ha avvertito Vicari.
Al contrario, i fondi filantropici offrono una soluzione più agile: permettono di creare uno strumento personalizzato senza dover costituire un ente autonomo. Questi fondi possono essere particolarmente utili per chi desidera fare donazioni strutturate senza doversi occupare della gestione operativa. “In molti casi, il filantropo preferisce lasciare agli specialisti il compito di selezionare i beneficiari e di garantire che le risorse vengano utilizzate nel modo più efficace”, ha aggiunto Vicari.
Il ruolo da “intermediari filantropici”
Sempre più donatori vogliono essere parte attiva del cambiamento, ha dichiarato Marcello Gallo, Presidente del Fondo Filantropico Italiano. Gli intermediari aiutano i donatori a individuare le migliori opportunità e a garantire che le risorse vengano impiegate nel modo più efficace. I private banker potrebbero essere tra gli intermediari più naturali per far dialogare i potenziali donatori con gli oltre 360.000 enti del terzo settore, ha affermato Gallo. “Molte associazioni locali svolgono un lavoro straordinario, ma non hanno la visibilità necessaria per intercettare i grandi donatori”, ha concluso Gallo, “qui entrano in gioco gli intermediari filantropici, che facilitano il collegamento tra chi vuole donare e chi ha bisogno di risorse”.