Firenze nel cuore e nel DNA, una laurea alla Bocconi, una vera gavetta prima di prendere – in totale autonomia – le redini di Pandolfini, casa d’aste di famiglia nonché la più antica d’Italia. Sono le tappe fondamentali della carriera di Pietro De Bernardi, alla guida della maison che nel settembre 2024 compie 100 anni. We Wealth lo ha raggiunto per farsi raccontare la storia di un successo (forse) sorprendente nell’agone internazionale delle case d’asta. Un risultato che si deve a una indovinata politica commerciale, ma anche a un altro fattore.
In apertura: Pietro De Bernardi. Crediti Fabio Petroni
Dr. De Bernardi, quali sono i ricordi più e meno belli dei 100 anni di Pandolfini?
«Posso parlare delle cose che ho vissuto personalmente. Mio nonno Cirano Pandolfini mi ha trasmesso i ricordi delle grandi collezioni andate all’asta nel passato, tipo la Strozzi Sacrati del 1989: fece quattro miliardi di lire, una cifra inaudita per l’epoca. Rammento con piacere la crescita robusta che abbiamo vissuto dall’inizio degli anni 2000.
Due le pietre miliari: l’asta tenuta in occasione dei nostri 90 anni, in cui abbiamo iniziato il format dei capolavori da collezioni italiane; è stato allora che abbiamo segnato l’eccezionale record del vaso cinese venduto a 7,5 milioni di euro e di tante altre opere che hanno fatto record allora. L’altra asta epocale, quella che ci ha fatto salire di un gradino ancora, è stata la nostra asta dei tesori ritrovati, un’aggiudicazione complessiva di 13 milioni di euro per circa 50 opere. In Italia non si era mai visto nulla del genere.
Se devo pensare a un ricordo negativo: appena arrivato, la casa non navigava in buone acque. Mio nonno era ormai anziano, alla plancia di comando era saltata una generazione. Rammento le difficoltà di quei momenti, legate all’urgenza di cambiare la politica e la strategia aziendale a fronte di un futuro ignoto. Il cambiamento è stato foriero di ansie, ma poi siamo stati ripagati. Ero entrato nel gruppo di famiglia nel 1997, ma è stato nel 2000 che il mio ruolo è diventato pienamente operativo. Quell’anno morì mio nonno».
Come nasce esattamente Pandolfini Casa d’Aste?
«Nel 1924 mio nonno prestava assistenza in Tribunale. C’erano in quel periodo grandi procedure successorie (tipicamente degli inglesi, che avevano vissuto i loro ultimi anni in Toscana) nelle quali transitavano opere d’arte notevoli per quantità e qualità. Mio nonno comprese che dovevano essere destinate a una degna vetrina, e creò la Galleria Pandolfini. Tutto ebbe inizio di là. All’attività giudiziaria si affiancò poi quella delle aste d’arte vere e proprie, che con gli anni diventarono sovrastanti. Oggi ormai la raccolta proviene esclusivamente dai privati».
La storia culturale e patrimoniale dell’Italia attraverso Pandolfini.
«La ripercorriamo nel nostro libro, “Un secolo d’incanto. I cento anni di Pandolfini e il collezionismo italiano”. Lo ha curato Marco Riccòmini, con le foto di Massimo Listri (Firenze, 1953, ndr), il più grande fotografo contemporaneo di interni. Possiede un archivio sconfinato, ce e lo ha messo a disposizione in totale amicizia. Pandolfini può definirsi partner delle grandi famiglie italiane che per varie ragioni hanno necessità di porre in essere operazioni sui loro patrimoni d’arte».
Foto copertina. Crediti Massimo Listri
Un pensiero sul momento attuale di mercato.
Al momento noi questa frenata non l’abbiamo sentita: i risultati del primo semestre 2024 sono stati in linea con quelli del primo 2023. Abbiamo investito sostanziosamente nella nostra espansione (a Milano Pandolfini è in via Manzoni, ai bordi del Quadrilatero, ndr). Reputo che la contrazione in atto (anche nel mondo della moda e del lusso), fosse prevedibile e che in una certa misura sia sana. Dipende dalla brusca frenata cinese, dalla bolla immobiliare che è scoppiata in seguito al fallimento di Evergrande, dalle politiche che ormai rendono più difficoltosi i pagamenti internazionali».
«In generale, i nostri clienti hanno una minore fiducia nei confronti della politica di Xi. Le case d’asta internazionali soffrono maggiormente perché hanno fondato il loro business sugli artisti iconici, quelli da decine e decine di milioni di dollari. Hanno puntato su un prodotto che in questo momento è decisamente in difficoltà, essendo acquistato per lo più proprio da clienti di quella parte del mondo. Pandolfini invece può giovarsi di un mercato più tradizionale e solido: dipinti antichi, dell’800, fine art, arredamento, opere di grande decorazione internazionale. Certo il “granello di sabbia nell’ingranaggio” è entrato, quindi non nego che in una certa misura potremmo sentirne gli effetti. Ma il nostro fatturato è composto in maniera diversa rispetto a quello delle grandi major».
Xi Jinping è ormai orientato a punire l’ostentazione della ricchezza…
«Già. Anche il mercato dei grandi vini francesi – le bottiglie da 15.000, 20.000 euro – ha subito una correzione proprio per il calo dei grossi acquisti da parte dei ricchi cinesi. Lo stesso dicasi per gli orologi: un Rolex Daytona che da listino costava 11.000 euro, lo si trovava per 34.000. Ora i prezzi sono scesi, e magari lo si trova a 24.000. Il problema è generato da quella parte di mondo che negli anni ha mostrato di avere gusti ben precisi in termini di beni da collezione e di lusso. Continuando nell’esempio del vino di lusso, quello italiano ha subito poco la contrazione proveniente dall’Est».
Pandolfini ha molti clienti cinesi?
«Abbiamo molti clienti internazionali. Il mercato italiano da solo non può assorbire tutto il quantitativo di lotti che offriamo. I cinesi non sono il gruppo più numeroso: sono però la quasi totalità nelle aste di arte orientali. Le aste di arte sono regionali. I cinesi acquistano i loro vasi, i Budda finemente decorati. C’è quello che acquista il Rothko da 30 milioni, ma lo fa perché è un pezzo iconico. Ed è un caso isolato. Gli italiani per dire acquistano l’arte antica. Abbiamo clienti dagli Usa, da Israele. Ma il gruppo prevalente è quello europeo: Svizzera, Francia, Germania Regno Unito, ecc. La clientela araba è molto importante nel settore dei gioielli, ma non in quello dell’arte – come si può intuire – a causa di possibili difformità culturali».
Ma qual è stata la “carta segreta” che ha permesso a Pandolfini di spegnere – in ottima salute – 100 candeline?
«Il tempismo nell’innovazione tecnologica. Ho creato il nostro sito internet nel 1997, quando ancora non ce lo aveva nessun concorrente. All’epoca era del tutto inutile possederne uno, ma l’esperienza gestionale della piattaforma ci avrebbe concesso un indubbio vantaggio competitivo quando la Rete sarebbe esplosa, di lì a qualche anno. Internet ha alimentato enormemente la nostra diffusione internazionale. Siamo anche stati i primi ad avere una piattaforma proprietaria per le aste dal vivo quando molti si avvalevano di strumenti generalisti».
«Oggi il sito è fortemente predominante rispetto alla spedizione dei cataloghi cartacei. Nei settori specialistici la predominanza è quasi assoluta. Per esempio nel settore del vino, riusciamo a vendere il 90% dei lotti online anche durante le aste dal vivo. Pensi che abbiamo tenuto aste da 700 lotti nelle quali ne abbiamo venduti il 99% con sole tre persone in sala. Erano tutti collegati al sito: vince la comodità. Comunque anche in settori tradizionali come quello dei dipinti antichi, la quota di acquirenti via sito arriva al 35%. Prima per avere un’opera dovevano esserci anche tre-quattro passaggi di mano, con grande scorno del venditore iniziale quanto a valore perso… Oggi il margine netto va tutto in tasca al venditore».
Cosa ama di più nel suo lavoro?
«Poter vedere le grandi opere d’arte delle famiglie italiane: è un privilegio. Anche senza intermediarle, è molto appagante potervi venire in contatto».
Un desiderio per i prossimi 100 anni.
«Vorrei che le cose andassero come stanno andando. Non chiedo la Luna. Vorrei che la casa d’aste continuasse a crescere e a innovare nel nostro settore come noi siamo stati in grado di fare, che trovasse ancora nuove formule che ci permettano di differenziarci dai nostri concorrenti».