Un registro europeo dei beni permetterebbe di individuare i titolari effettivi di società e beni
Più di ogni altro Paese, in Russia la ricchezza è concentrata nelle mani di poche persone
Una simile proporzione si pone ben sopra la media delle altre nazioni europee e, in generale, delle grandi potenze: in Francia il 10% più ricco possiede il 59% della ricchezza; negli Usa il 71%, in Cina il 68%. In Francia l’1% più ricco detiene il 27%, in Usa il 35%, in Cina il 31%.
Il fatto che la ricchezza sia concentrata in così poche mani si spiega guardando alle politiche di privatizzazione che, in particolare a partire dagli anni ’90 dopo il crollo dell’Unione Sovietica, hanno permesso ad un piccolo gruppo di persone (gli oligarchi) di monopolizzare interi settori strategici per il paese.
E invero, anche l’Europa può essere considerata responsabile, o quanto meno compartecipe, del percorso che ha portato questi soggetti ad accrescere in maniera smisurata la propria ricchezza. Come è messo in evidenza nel report “Effective sanctions against oligarchs and the role of a European Asset Registry”, gran parte della ricchezza dei russi è detenuta in centri offshore situati al di fuori del loro paese di residenza, in particolare nel Regno Unito, in Svizzera, a Cipro.
Certamente, le sanzioni adottate dall’Ue, dal Regno Unito e dagli Usa nei confronti delle società, degli oligarchi e della Federazione russa, hanno avuto e stanno tuttora determinando un impatto negativo sugli equilibri economici e sulla distribuzione della ricchezza: l’esodo delle imprese occidentali, l’isolamento internazionale delle banche russe e la rottura dei loro legami finanziari con il resto del sistema finanziario internazionale, dovrebbe condurre verso un graduale deterioramento della ricchezza di questi individui.
I russi più ricchi, infatti, anche se non sono esenti dalle sanzioni, e dalle conseguenze negative che queste generano sui loro patrimoni, potrebbero, in realtà, soffrire meno di quanto previsto. La maggior parte della loro ricchezza infatti è occultata in paradisi fiscali e, come tale, è difficile da rintracciare a causa delle politiche sulla riservatezza e della mancanza di un registro dei titolari effettivi.
Ad oggi, sono stati colpiti dalle sanzioni circa 680 oligarchi russi. Ma, come mette in evidenza il report in commento, a firma, tra gli altri di Thomas Piketty e Gabriel Zucman, il gruppo di cittadini o residenti russi ricchi che ricorrono ai paradisi fiscali è considerevolmente più ampio dei 680 individui sanzionati: secondo alcune stime, sono infatti circa 20 mila gli individui in Russia che dispongono di una ricchezza superiore ai 10 milioni di euro e circa 50 mila coloro che detengono un patrimonio sopra i 5 milioni di euro.
Ma, certamente, la pratica di nascondere la ricchezza in paradisi fiscali non è tipica solo degli oligarchi. Si tratta, piuttosto, di un fenomeno diffuso su scala globale. Gli autori del report in questione, infatti, stimano che l’equivalente del 10% del Pil globale sia detenuto in centri offshore.
È proprio la dimensione internazionale di questa pratica, esacerbata dalle recenti questioni che involgono i russi a seguito del conflitto in Ucraina, che dovrebbe spingere l’Europa a dotarsi degli strumenti idonei a migliorare l’efficacia delle sanzioni e, più in generale, ad affrontare problemi di vecchia data nella struttura della propria governance finanziaria. In buona sostanza, l’attuale “caccia” ai beni degli oligarchi, è il pretesto per introdurre nuove regole europee sulla trasparenza finanziaria e sulla titolarità dei beni.
A tal riguardo, come propone Piketty e Zucman, occorrerebbe istituire un database europeo che tenga traccia dei luoghi, dei beni e dei soggetti che detengono una certa quantità di ricchezza nei centri off-shore. Implementare un registro dei beni e patrimoni detenuti in centri off-shore permetterebbe di rendere più efficaci le sanzioni nonché rafforzare la lotta all’elusione e all’evasione fiscale.
La raccolta sistematica di informazioni sulla proprietà dei beni colmerebbe ulteriormente le lacune e faciliterebbe il continuo sviluppo dei registri nazionali. Ad esempio, le informazioni sugli immobili sono generalmente conservate nei registri immobiliari, ma l’uso di società di comodo o il ricorso a scatole societarie non consente facilmente di comprendere cosa appartenga a chi. Invece, rendere uniformi le regole di trasparenza istituendo un registro europeo permetterebbe alle singole nazioni di attingere ad un database più ampio ove colmare lacune informative interne.
Un registro permanente europeo dei beni, incaricato di raccogliere e collegare sistematicamente le informazioni sulla ricchezza di tutti i tipi di beni, al di sopra di una certa soglia, fornirebbe dati di altissima qualità sull’importo totale della ricchezza detenuta dagli individui. Collegherebbe le informazioni provenienti da tutte le fonti nazionali e internazionali disponibili, dando vita al contempo a nuove fonti nel caso in cui le informazioni non siano attualmente presenti o complete.
L’attuale momento storico, offre un’opportunità unica per i paesi europei che intendono svolgere un ruolo pionieristico nella creazione di uno strumento volto a combattere le condotte elusive e il riciclaggio di denaro.