L’idea che nel 2025 saranno gli Stati Uniti a cogliere tutti i migliori frutti sui mercati non convince appieno Bnp Paribas, che vede rischi superiori al previsto sull’inflazione statunitense e un potenziale economico superiore a quello atteso comunemente per l’Area euro. La logica conseguenza di questa previsione è che la Federal Reserve taglierà meno di quanto oggi il mercato si aspetta, afferma il capo economista di Bnp Paribas, Luigi Speranza, in un incontro stampa di presentazione dell’Outlook 2025. “Nel nostro scenario centrale, prevediamo una crescita Usa solida nella prima metà del 2025, ma un andamento negativo nella seconda metà dell’anno e nel 2026 a causa dei dazi, delle politiche migratorie e delle relative risposte della Fed”. Dazi e stretta sull’immigrazione contribuiscono entrambe all’inflazione, più di quanto non dovrebbero fare le conferme dei tagli fiscali già in essere, il cui potenziale inflazionistico è limitato.
Da qui la previsione più audace dell’outlook della banca francese: “Riteniamo che la Fed ridurrà i tassi di 25 punti base a dicembre, per poi mantenere una pausa prolungata nel 2025. Rispetto al mercato prevediamo che la Fed sarà più cauta, soprattutto a causa di possibili pressioni inflattive legate a shock transitori come i dazi doganali.”
Bce, tagli come previsto (con possibili allentamenti extra)
Dall’altra parte dell’Oceano la Banca centrale europea, invece, continuerà a tagliare secondo il piano largamente atteso, riportando i tassi al 2% entro giugno, con un margine per possibili tagli ulteriori che supera il rischio opposto, quello di un allentamento monetario più limitato.
Sull’andamento economico europeo, Speranza ha esposto alcune ragioni per non dubitare troppo delle capacità di mantenere un buon ritmo di crescita. L’Europa affronta “problemi strutturali che riducono il potenziale di crescita”, afferma l’economista, “tuttavia, crediamo che ci siano margini per risposte fiscali significative” perché “il dibattito si sta spostando verso una maggiore flessibilità fiscale e investimenti comuni, come quelli per la difesa o la transizione energetica”.
Secondo le interlocuzioni avute con i policy maker, dietro le quinte il dibattito sulla creazione di maggiori investimenti finanziati con debito comune europeo è più avanzato di quanto non appaia alla luce del sole. Una sua influenza su questo deve averla avuta l’agenda dell’ex premier Mario Draghi, che ha offerto “diagnosi condivise e proposte pratiche: anche una parziale implementazione delle sue raccomandazioni potrebbe avere effetti positivi, ad esempio rilassando il debt brake in Germania o istituendo fondi speciali per stimolare la crescita”, afferma Luca Pennarola, economista senior di Bnp Paribas per l’Europa. Alcuni settori strategici per le sfide comuni dell’Unione europea potrebbero sostenere con maggior vigore le azioni del comparto difesa europeo (che ha già reso molto bene) e quelle legate alla transizione energetica (che, invece, sono reduci dalla mazzata dei tassi elevati).
Tirando le somme a livello macroeconomico, la divergenza delle politiche monetarie fra Fed e Bce, nelle previsioni di Bnp Paribas, dovrebbe essere superiore di mezzo punto rispetto a quella che è già attualmente prezzata dal mercato.
Un’ipotesi che supporta, fra le altre cose, il mantenimento di un cambio ancora favorevole a sostenere il valore del dollaro, così come il valore di chi oggi detiene in portafoglio materie prime denominate in valuta americana come l’oro, metalli preziosi e petrolio.
Una delle ipotesi affrontate da Speranza riguarda il potenziale di crescita europeo che potrebbe essere sbloccato da tagli dei tassi un po’ più corposi. “Se la Bce continua a tagliare i tassi, come previsto, questo potrebbe incentivare una riduzione del tasso di risparmio delle famiglie e un aumento del consumo”, un’eventualità ancora da verificare e per il momento non osservata nei dati, ma molto coerente con l’idea che, con tassi più bassi, sia meno conveniente risparmiare. Questo potrebbe offrire alla crescita europea un sostegno in caso di rallentamento più marcato, che incoraggerebbe la Bce a tagliare il costo del denaro al di sotto del 2%.
L’inflazione di lungo periodo? Potrebbe attestarsi più su rispetto al pre-covid
Resta stimolante, in una prospettiva economica, capire se l’inflazione che ha attraversato le economie avanzate negli ultimi anni sia una parentesi o se lo sia stata la bassa inflazione dell’era pre-Covid. Secondo Speranza, un grande ruolo lo giocano le aspettative degli attori economici, compresi i lavoratori che possono essere più inclini ad aspettarsi adeguamenti al costo della vita perché lo shock appena trascorso ha attivato questa attenzione, un tempo sopita da generazioni di inflazione assente.