Investire in terre rare, o meglio nelle aziende attive nella loro estrazione e lavorazione, è oggi più interessante che in passato? La risposta potrebbe essere sì, soprattutto ora che esportarle fuori dalla Cina sta diventando più difficile e le economie occidentali cercano di recuperare autonomia nell’approvvigionamento di questi metalli critici, fondamentali per difesa, tecnologie verdi e dispositivi elettronici.
Il tema è tornato d’attualità dopo il Liberation Day del 4 aprile, quando la Cina ha reagito ai nuovi dazi statunitensi imponendo restrizioni all’export su sette terre rare. Le imprese esportatrici dovranno ottenere una licenza speciale, il che potrebbe ostacolare la fornitura verso mercati strategici come gli Stati Uniti. Fino al 2023, il 99% della lavorazione globale di terre rare era in mani cinesi. Oggi la quota resta alta, attorno al 90%.
Etf in calo, ma singoli titoli in controtendenza
Chi guarda all’ETF tematico VanEck sulle terre rare noterà un andamento scoraggiante: -15,6% nell’ultimo mese (al 24 aprile), contro il -6,1% dell’S&P 500 e il -3,8% del cinese CSI 300. Ma non tutte le aziende del comparto si muovono allo stesso modo. Anche l’unico altro concorrente disponibile per l’investitore italiano, l’Etf tematico di WisdomTree, è in rosso del 4% da inizio anno (dati consultati il 24 aprile).
Il calo dei prezzi delle terre rare nel biennio 2023-2024 è stato causato dalla domanda cinese debole e dalle incertezze sull’elettrico. Tuttavia, alcune realtà stanno emergendo con forza. Negli Stati Uniti, attori come Lynas e MP Materials si sono posizionati per diventare protagonisti nella filiera strategica americana.
Il Dipartimento della Difesa ha fissato l’obiettivo di costruire una filiera interna completa dalle miniere ai magneti entro il 2027, e ha già stanziato oltre 439 milioni di dollari dal 2020 per raggiungere questo traguardo. Lynas USA, ad esempio, ha ricevuto sovvenzioni per 150 milioni di dollari in due tranche (2021 e 2022) per attivare impianti sul suolo americano.
Il titolo Lynas Rare Earths resta in crescita del 26,95% da inizio 2025, beneficiando del fatto di essere il maggior fornitore non cinese. Al contrario, USA Rare Earths è in lieve calo (-2,91%) e rappresenta una scommessa più speculativa, ancora nelle fasi iniziali.
Ma la vera sorpresa è MP Materials, in crescita del +48% da gennaio. L’azienda gestisce l’unica miniera di terre rare attiva negli Stati Uniti, a Mountain Pass, California. Anche se produrrà “solo” 1.000 tonnellate di magneti NdFeB entro fine 2025 – meno dell’1% rispetto alle 138.000 tonnellate cinesi del 2018 – la sua rilevanza strategica è enorme.
Anche i cinesi brillano
Nel 2025, China Northern Rare Earth, principale gruppo cinese specializzato, ha registrato un rialzo del +12,2%. È uno dei pochi titoli legati alle REE che performa bene in un contesto di incertezza generale.
Altri nomi inclusi negli ETF, però, hanno poco a che fare con le terre rare. Si tratta di aziende del settore litio, come Arcadium Lithium, SQM, Albemarle, Ganfeng, Pilbara Minerals: tutte collegate più alla partita dell’elettrico che a quella strategica delle terre rare. Il prezzo del litio è crollato dell’88% dal picco del 2022, penalizzando fortemente le loro performance.
Individuare le imprese posizionate e per la nuova fase
Chi oggi intende esporsi alle terre rare dovrebbe evitare ETF troppo ampi o diversificati, che includono anche aziende fuori tema. La vera sfida è selezionare le realtà più direttamente coinvolte nella produzione e lavorazione delle REE, in particolare quelle che stanno beneficiando delle tensioni geopolitiche e degli incentivi industriali in Occidente.
MP Materials, Lynas Rare Earths, China Northern Rare Earth e Shenghe Resources sono i nomi da tenere d’occhio, tenendo a mente che ogni scommessa settoriale andrebbe considerata come una puntata ad alto rischio di volatilità nell’ambito di un portafoglio diversificato.