La Banca del Giappone (BoJ), al termine della riunione di martedì 19 marzo, ha chiuso l’era dei tassi negativi, dopo aver a lungo mantenuto un orientamento espansivo in controtendenza con le altre maggiori banche centrali. La banca centrale guidata da Kazuo Ueda ha innalzato di 10 punti base il tasso interbancario overnight, per guidarlo in un intervallo compreso fra lo 0 e lo 0,1%.
Il mercato degli swap alla vigilia di questa decisione prezzava a meno del 50% la possibilità di un rialzo dei tassi questo martedì – il primo dal 2007. Tuttavia, la reazione dello yen è stata negativa, con una perdita dell’1% sul dollaro che aumenta al 6,8% il rosso da inizio anno.
Questa reazione potrebbe derivare dalla decisione assunta dalla BoJ sugli acquisti di titoli governativi giapponesi, che continueranno “più o meno nella stessa quantità”, nonostante la decisione di abbandonare la politica di controllo della curva dei rendimenti (Ycc) che, finora, ha mantenuto artificialmente bassi gli interessi pagati dai titoli di Stato nipponici. La priorità della BoJ è stata, dunque, quella di mantenere il più ordinata possibile la graduale normalizzazione della politica monetaria, evitando picchi sui costi di finanziamento. La combinazione di questi fattori ha provocato una reazione “colomba” apparentemente contro intuitiva da parte del mercato, se si considera la portata storica della decisione della BoJ. In verità, gli operatori si aspettavano di veder salire di più i rendimenti giapponesi in rapporto ai Buoni del Tesoro Usa, il che avrebbe fatto salire la domanda per i titoli giapponesi, sostenendo lo yen. Scenario che, però, non si è concretizzato.
Sul cambio dollaro-yen, inoltre, potrebbe aver inciso anche le aspettative sulle prossime mosse della Fed, che potrebbe “tagliare di meno rispetto a quanto previsto in precedenza”, ha affermato a We Wealth Carlo De Luca, responsabile AM di Gamma Capital Markets. A questo calo dello yen, inoltre, potrebbe aver contribuito anche il classico “sell on the news”, dato che il rialzo dei tassi della BoJ era da tempo sul tavolo degli analisti.
Un ultimo fattore che potrebbe aver frenato yen consiste nel suo largo utilizzo nelle operazioni di carry trade, con le quali gli investitori prendono in prestito una valuta a tassi di interesse bassi (come lo yen) per investire in altre attività a rendimento più alto, sfruttando l’effetto della leva finanziaria, ha ricordato De Luca. Questo comporta un indebolimento dello yen quando i mercati sono in crescita, poiché gli investitori vendono yen per finanziare i loro investimenti.
Nikkei di nuovo sopra i 40.000 punti
Allo stesso modo, la reazione del Nikkei 225 è stata positiva e, dopo alcune sedute deboli nelle scorse due settimane, ha chiuso nuovamente sopra quota 40.000 punti, con un rialzo dello 0,66%. Da inizio anno, l’indice giapponese di riferimento ha realizzato una performance superiore al 20%, dato che sale al 48% se si allarga lo sguardo agli ultimi 12 mesi. Il listino azionario giapponese, una delle rivelazioni del 2023 e dell’inizio del 2024 aveva ultimamente risentito di un possibile rafforzamento dello yen, che avrebbe potuto colpire la competitività delle aziende orientate all’esportazione.
A dispetto della svolta storica impressa da Ueda e colleghi sulla politica monetaria giapponese, non si può parlare di una grande reazione di mercato. “La reazione misurata potrebbe essere spiegata dalla probabile convinzione che la BoJ adotterà un approccio ‘una tantum’”, ha commentato Gurpreet Gill, macro strategist, fixed income and liquidity solutions di Goldman Sachs Asset Management. Al momento, infatti, non c’è molto accordo fra gli analisti su quelle che saranno le prossime mosse della BoJ per il resto dell’anno. Sul punto il governatore Ueda si è limitato ad affermare che, “se l’inflazione tendenziale aumenterà un po’, ciò potrebbe portare a un aumento dei tassi a breve termine”.
“Prevediamo ulteriori rialzi dei tassi, seppur limitati”, ha aggiunto Gill, “considerando che i tassi reali in Giappone rimangono bassi e le condizioni finanziarie sono poco rigide rispetto allo scenario dell’inflazione”. Sulla stessa lunghezza d’onda si trovano anche gli analisti di Nomura e Bnp Paribas, che si aspettano ulteriori rialzi dei tassi nel corso dell’anno.
Di parere opposto, invece, Dong Chen, head of Asia macroeconomic research di Pictet Wealth Management: “Per il momento non prevediamo ulteriori rialzi dei tassi nel 2024”, ha affermato Chen in una nota, “pur ritenendo che la BoJ possa avere un margine di manovra per aumentare ulteriormente i tassi di interesse nel lungo periodo, è probabile che proceda con molta cautela e gradualità”.
In un discorso tenuto a febbraio il vice governatore della BoJ, Shinichi Uchida, aveva anticipato che “anche nel sceso la banca dovesse terminare la politica dei tassi negativi, è difficile immaginare un percorso nel quale continuerebbe ad aumentare rapidamente i tassi d’interesse”.
Le previsioni sulle azioni giapponesi
In generale, l’addio graduale alla politica ultra-espansiva deciso dalla BoJ sembra lasciare abbastanza inalterato l’orientamento positivo dei gestori sull’azionario giapponese. “Considerando che la politica accomodante sarà mantenuta per un po’ di tempo, non ci aspettiamo che questo cambi le dinamiche dei mercati azionari e valutari”, ha affermato Kensuke Niihara, Cio per il Giappone di State Street Global Advisors, “riteniamo che questo cambiamento non influisca sull’ipotesi rialzista delle azioni giapponesi”. A marzo, le posizioni rialziste sull’azionario giapponese hanno guadagnato il terzo posto nella classifica degli investimenti più affollati, secondo quanto rilevato dal sondaggio globale dei gestori realizzato da Bank of America.
Per alcuni analisti gli elementi decisivi sulle sorti dell’azionario giapponese hanno meno a che vedere con la politica monetaria e di più con i cambiamenti strutturali dell’economia. Il governo giapponese, infatti, sta incoraggiando le famiglie giapponesi a mobilitare sui mercati una quota crescente della loro ricchezza tradizionalmente detenuta in liquidità – in una misura pari circa il 50%. Lo scorso dicembre il Nikkei Asia aveva indicato come l’80% della crescita degli asset finanziari nipponici fosse stata guidata proprio dalla maggiore partecipazione ai mercati da parte delle famiglie giapponesi.
La fine di un’era?
Il Giappone ha avuto una storica difficoltà a mantenere salde le aspettative sul mantenimento dell’inflazione all’obiettivo del 2% e, nonostante il raggiungimento del target già nell’aprile 2022, la banca centrale è stata reticente ad abbandonare la politica monetaria espansiva, considerando transitori gli effetti che avevano alimentato i prezzi.
A gennaio, l’indice dei prezzi al consumo aveva superato le attese degli analisti, nonostante il calo dal 2,3 al 2%. Fra gli sviluppi decisivi sul cambio dell’orientamento da parte della BoJ, rientrano gli ultimi dati delle negoziazioni salariali: a inizio marzo, il principale sindacato del Paese aveva segnalato che la domanda media di aumenti salariali aveva superato il 5% per la prima volta da 30 anni. Le richieste di salari più elevati potrebbero indicare come i lavoratori si aspettino un aumento stabile del costo della vita. Se queste dinamiche diventano strutturali, il risultato è un’inflazione stabilmente più elevata.
La possibilità che lo spettro della deflazione possa essere alle spalle del Giappone, senza giustificare un brusco cambiamento di rotta della banca centrale sembra essere lo scenario in grado di sostenere ancora l’azionario giapponese – che aveva mostrato segni di cedimento dopo le esternazioni da falco con le quali Ueda e colleghi, a inizio marzo, avevano preparato il terreno per questo rialzo dei tassi.