Gennaio indimenticabile per i mercati finanziari che hanno chiuso in deciso rialzo come non accadeva da molto tempo: una musica quella suonata in concerto da banchieri, ceo e illustri presidenti, che ha conquistato gli investitori seppur non siano mancate note stonate. A dare il la, è certamente stata l’apertura di Trump e Xi Jinping a un eventuale accordo sul temuto inasprimento della guerra commerciale, secondo il quale la Cina potrebbe impegnarsi nei prossimi mesi a importare più merci americane al fine di evitare un ulteriore rialzo e/o l’estensione dei dazi imposti dagli Stati uniti.
Il coro di voci delle decine di società “a buon mercato” che hanno pubblicato gli utili nel corso del mese, sia negli Stati Uniti (234 dell’S&P 500) che in Europa (circa 30 dello Stoxx600) ha accompagnato la dolce melodia. Gli utili, fortemente rivisti al ribasso a partire dall’Ottobre del 2018, hanno alimentato piacevoli sorprese positive nonostante il tono non sempre allegro sul futuro. Negli Stati Uniti i ceo hanno dichiarato utili e fatturati al disopra delle aspettative nel 71 e nel 61% dei casi rispettivamente.
Ma è stata la voce potente di Powell che ha permesso di consegnare alla storia un mese per l’appunto indimenticabile. I mercati rasserenati dalla “pazienza”del banchiere americano, che in base alle ultime dichiarazioni resterà fermo sui tassi probabilmente più a lungo del previsto, hanno continuato a salire recuperando buona parte delle perdite dell’ultimo trimestre del 2018.
Non sono mancate tuttavia svariate note stonate, al punto da indurre il FMI a rivedere le stime di crescita per il 2019 (ridotta a 3,5 quella globale) e molti spettatori, radunati nell’amena Davos, a dibattere sul timing della prossima recessione economica. Tra queste, per citarne qualcuna, in America, i dati sul mercato immobiliare, il dato sulla fiducia dei consumatori, il lungo shutdown del governo, i numeri di Caterpillar; in Cina, i dati sulla manifattura; in Europa i negoziati per la Brexit, la recessione tecnica italiana ed il deterioramento dei dati macro francesi e tedeschi; altrove, le proteste in Venezuela.
Ma il coro intonato è prevalso sulle singole stonature e il risultato è stato un successo.
Il MSCI World in valuta locale ha infatti chiuso il mese in salita del +7.14%: US +8.08%, Europa +5.49%,Giappone +5.24%. I mercati emergenti (sostenuti soprattutto da Turchia, Cina e Russia) hanno guadagnato in media il 7.12%. L’atteggiamento più accomodante di Powell e di Draghi ha spinto comunque i rendimenti obbligazionari ancora verso il basso. Il decennale americano ha chiuso a 2.63% (da 2.68) mentre il bund è passato a 0.15 (da 0.16). L’Euro/Dollaro è rimasto sostanzialmente stabile a 1.14 (dopo un movimento inframensile da 1.15 a 1.13).
Finale dunque con standing ovation: il mercato americano su da 6 settimane consecutive, non saliva così nel mese di gennaio, dal 1987!
È difficile dire se il prossimo singolo sarà ancora un successo e soprattutto se la compilation sarà all’altezza della cover…poiché se da un lato nell’87% delle volte, gennaio detta le sorti dell’intero anno, dall’altro:
1) gli utili hanno continuato a scendere e per il 2019; in America siamo arrivati al 4,9% con un PE di oltre 16 volte
2) nel restante 13% c’è pure il 2018 ed in statistica il passato recente ha indubbiamente un peso maggiore.
Tuttavia non credo ci siano al momento ragioni per essere particolarmente pessimisti. Come spesso ripetuto, guardiamo serenamente lontano, purché contrarian e diversificati.
A cura di Laura Tardino, head of institutional business development, Italy Aberdeen Asset Management