C’è chi è partito con un atteggiamento ultra-conservativo e chi ha fatto una fuga in avanti, per poi optare per un dietrofront. Intanto, l’incertezza continua a contraddistinguere il mercato
Nel secondo trimestre del 2023 circa 210 fondi hanno modificato il loro “status” ai sensi della Sfdr a livello europeo, ma solo sei sono stati declassati dall’art. 9 all’art. 8
“Il sostanziale crollo dei flussi a partire dall’ultimo trimestre del 2022 riflette l’influenza della riclassificazione di circa 350 fondi che da art. 9 sono passati ad art. 8”
Un catalogo di regole in continua evoluzione insieme all’eco delle accuse sull’ambientalismo di facciata – o “greenwashing”, in gergo – hanno innescato negli ultimi due anni due movimenti contrapposti all’interno dell’industria europea dell’asset management. C’è chi ha fatto una fuga in avanti classificando fin da subito i propri fondi come articolo 9 ai sensi della Sustainable finance disclosure regulation (Sfdr, la normativa europea sull’informativa di sostenibilità nel settore dei servizi finanziari) per poi optare per un dietrofront a fronte di una regolamentazione sempre più stringente; e chi ha seguito il percorso inverso, essendo partito con un atteggiamento ultra-conservativo. Ad ogni modo, a poco più di due anni dall’entrata in vigore della Sfdr, l’universo dei fondi classificati come art. 9 (che hanno come obiettivo l’investimento sostenibile) o art. 8 (che promuovono caratteristiche ambientali o sociali o una combinazione di tali caratteristiche) continua a mutare.
Secondo una recente analisi di Morningstar, i fondi sostenibili a livello europeo hanno registrato una generale frenata della raccolta nel secondo trimestre del 2023. Nel dettaglio, i fondi art. 8 hanno subito deflussi netti per 14,6 miliardi di euro, a fronte dei 26 miliardi raccolti nei primi tre mesi dell’anno. Parallelamente, i prodotti che ricadono sotto l’ombrello dell’art. 9 hanno catturato 3,6 miliardi di flussi, sebbene si tratti del dato peggiore dall’introduzione della Sfdr, oltre che in calo rispetto ai 4,4 miliardi del trimestre precedente. Come racconta Hortense Bioy, responsabile della ricerca sulle strategie passive e sostenibili in Europa per Morningstar, il “sostanziale crollo dei flussi a partire dall’ultimo trimestre del 2022 riflette l’influenza della riclassificazione di circa 350 fondi che da art. 9 sono passati ad art. 8, in seguito ai chiarimenti dell’Esma (l’autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, ndr) sulla Q&A della Commissione europea di giugno 2021”. Il documento, ricorda infatti l’esperta, ha “specificato che i fondi che forniscono informazioni ai sensi dell’art. 9 devono detenere solo investimenti sostenibili, a eccezione della liquidità e delle attività utilizzate a fini di copertura”. Intanto, i fondi art. 6 (ovvero che non promuovono caratteristiche ambientali o sociali e che non hanno come obiettivo investimenti sostenibili ma per le quali le società di gestione si limitano a monitorare i rischi di sostenibilità) hanno registrato una raccolta pari a 12,3 miliardi di euro, contro i 21 miliardi del primo trimestre dell’anno in corso.
Al di là dei deflussi, c’è da dire che il patrimonio dei fondi art. 8 e art. 9 è cresciuto nel periodo dell’1,4%, tra nuovi lanci, riclassificazioni dei prodotti ex-articolo 6 ad art. 8 e un apprezzamento del mercato. Riclassificazioni, in generale, che risultano tuttavia in rallentamento. Come evidenziato da Morningstar, infatti, dal precedente rapporto di fine marzo circa 210 fondi hanno modificato il loro “status” ai sensi della Sfdr: 182 fondi sono passati dall’art. 6 all’art. 8, tre sono passati dall’art. 6 all’art. 9 e 12 sono passati dall’art. 8 all’art. 9. Solo sei sono stati infine declassati dall’art. 9 all’art. 8 (vedi tabella). Anche l’Italia, intanto, viaggia sulla stessa linea d’onda. Ma il volume di downgrade (da art. 9 ad art. 8) degli ultimi 12 mesi appare più consistente rispetto a quanto monitorato da Morningstar nel secondo trimestre 2023.
We Wealth ha messo la lente sugli operatori italiani attraverso un’indagine a campione su 11 società di asset management (Allianz global investors, Anima holding, Arca fondi, Axa investment managers, Credito Emiliano, Jp Morgan asset management, Pictet asset management e infine i gruppi Intesa Sanpaolo, Mediolanum, Generali e Bnp Paribas) analizzando quanti fondi autorizzati alla distribuzione retail in Italia ricadono al 30 giugno 2023 sotto l’ombrello degli artt. 6, 8 e 9 e quanti, invece, hanno subito un cambiamento di classificazione passando da art. 8 ad art. 9 e viceversa. Lascia intanto perplessi il fatto che, di fronte a una richiesta che riguardava tutto il mercato, ci si trova a fare i conti con una disponibilità non sempre attiva a rilasciare informazioni su questo mondo, a testimonianza del livello di incertezza che lo contraddistingue. In ogni caso, c’è chi come Arca che nei 12 mesi considerati ha riclassificato due fondi – precedentemente art. 8 – come art. 9. Ma il dato interessante da sottolineare, fornito da una delle società di gestione italiane intercettate sui fondi di terzi distribuiti attraverso la rete, è che 23 prodotti su 77 abbiano subito un downgrade nell’ultimo anno, ovvero circa il 30%; al contrario, tre fondi su 765 distribuiti dalla società in questione sono passati da art. 8 ad art. 9, che corrisponde ad appena lo 0,39%. Dati che, in qualche modo, restituiscono la fotografia di un mercato che nel suo complesso continua a navigare anche in Italia tra incertezze normative e timori di greenwashing.
Va comunque sottolineato l’impegno crescente degli operatori, evidente nella forte percentuale di prodotti sostenibili sui fondi totali da parte di molte società. È il caso per esempio di Axa investment managers, che offre 73 fondi art. 8 e 10 fondi art. 9, pari al 95,4% del totale dei prodotti distribuiti in Italia. Per Jp Morgan asset management, i fondi artt. 8 e 9 rappresentano il 79,13% dei fondi complessivi, mentre Pictet asset management ha il 57,75% di prodotti sostenibili. Considerando invece i valori assoluti, emerge come Eurizon abbia in catalogo il maggior numero di fondi sostenibili (sommando i prodotti art. 8 e art. 9) pari a 267, un dato che non stupisce visto che il Gruppo Intesa Sanpaolo è il primo operatore in Italia per patrimonio gestito secondo Assogestioni; senza dimenticare Fideuram che, con Fideuram asset management e Fideuram asset management Ireland, qualifica come “sostenibili” altri 95 prodotti ai sensi degli artt. 8 e 9 della Sfdr. Nel caso del Gruppo Generali, al secondo posto della classifica dell’associazione italiana delle società di gestione del risparmio, 151 fondi dei suoi asset manager erano rendicontati in linea con gli artt. 8 e 9 dell’Sfdr (pari al 32,5% del totale in termini di numero di fondi) a fine 2022. Pictet asset management riporta invece il maggior numero di fondi art. 9 autorizzati alla distribuzione retail nella Penisola (10), a pari merito con Axa investment managers. La mappa del mercato evidenzia infine come la gestione integrata dei fattori sociali e ambientali nei processi di investimento non appartenga unicamente alla categoria azionaria, ma anche a quella obbligazionaria. Ne dà dimostrazione ancora una volta Eurizon con 62 fondi art. 8 obbligazionari, a fronte dei 54 azionari e dei 140 bilanciati e flessibili. In termini di numero di fondi art. 9 obbligazionari si distingue infine Axa investment managers con tre prodotti.
(Articolo tratto dal magazine We Wealth di settembre 2023)