Il piccolo e medio imprenditore italiano pianifica, in quasi sette casi su dieci, con l’orizzonte di un solo anno, utilizzando fonti di finanziamento prevalentemente tradizionali come autofinanziamento e finanziamenti bancari, mentre gli strumenti finanziari alternativi sono poco conosciuti. Questo sostanziale digiuno rappresenta un’opportunità di servizio importante per il private banking italiano, che rappresenta fino al 30% degli asset della clientela; ma questo impone, da parte delle reti, una minuziosa formazione dei banker di più alto livello. Sono queste le suggestioni che si ricavano dalla nuova indagine realizzata da Aipb con Bva Doxa e presentata in occasione del XX Forum dell’Associazione del Private Banking, il 21 novembre.
A proposito di fonti di finanziamento alternative, ha illustrato Antonella Massari, segretaria generale di Aipb: “Le risposte relative a capitale di rischio ed emissioni obbligazionarie ci mostrano che, nella media, praticamente non esistono. Persino per le imprese di grandi dimensioni, solo l’11% ricorre al capitale di rischio e appena il 4% alle obbligazioni”. Anche la sola conoscenza di certi strumenti di finanza alternativa è estremamente bassa: sette imprenditori su dieci non sanno cosa sia un club deal e circa uno su due non conosce il private equity.
Non stupisce, quindi, che l’apertura dell’assetto societario, pur considerata da due imprenditori su tre, venga perseguita soprattutto attraverso l’ingresso di nuovi soci, “con scarsa attenzione alla vendita di quote, alla quotazione o al private equity”. La governance delle Pmi è semplice e caratterizzata da una leadership familiare: “Molti sono imprenditori unici, con decisioni prese autonomamente e una limitata presenza manageriale”, ha riassunto Massari. “Il 90% degli imprenditori non vede ragioni per cambiare l’assetto societario, citando ostacoli come trovare i soci giusti, tempi lunghi e costi elevati”. Inoltre, sei imprenditori su dieci non sono disposti ad aspettare due anni per vedere i benefici di un’operazione straordinaria.
Oltre alla finanza alternativa poco conosciuta, un’opportunità di affiancamento del private banker si concretizza nell’organizzazione dei passaggi generazionali. La maggioranza dei piccoli e medi imprenditori desidera trasmettere l’azienda ai membri della famiglia – dato ancor più evidente per le imprese con più di 150 addetti (55%). Tuttavia, emerge dall’indagine che il 61% degli imprenditori non ha affatto pianificato il passaggio generazionale: “Vogliono lasciare l’azienda alla famiglia, ma non hanno predisposto alcun piano”, ha dichiarato Massari. Inoltre, in molti casi non saprebbero bene come fare: la ricerca, infatti, mostra che gli imprenditori conoscono poco o nulla il patto di famiglia (82%), la holding familiare (73%) e, leggermente meglio, il trust (71%)”, ha affermato la segretaria generale di Aipb.
“Alla luce del quadro emerso dalla ricerca, riteniamo che il nostro settore possa supportare queste imprese, sviluppando la conoscenza dei rischi e delle opportunità, ponendo attenzione a situazioni critiche come quella dell’imprenditore unico: cosa accadrebbe se questi venisse a mancare improvvisamente?”, ha detto Massari, ricordando strumenti assicurativi come la polizza key man. “È quindi necessario offrire un sostegno concreto sulla governance aziendale, sulla crescita attraverso vie esterne e sulla continuità generazionale”.
“Abbiamo rilevato l’esigenza di protezione in relazione a forme di finanziamento poco conosciute e più diversificate, dalle operazioni straordinarie alla pianificazione successoria”, ha aggiunto la segretaria di Aipb. “Risulta altrettanto importante accompagnare le imprese nel loro percorso, considerando le diverse fasi del loro ciclo di vita: dalla crescita alla discontinuità, fino all’eventuale exit”.
Il ruolo del private banker per l’imprenditore
“Cosa possiamo fare noi, come professionisti nel private banking? Molto spesso noto una differenza chiave tra il nostro approccio e quello di chi opera prevalentemente attraverso la leva del debito: mentre quest’ultimo tende a dialogare con le strutture aziendali, come il direttore finanziario, noi consulenti finanziari instauriamo un dialogo diretto con l’imprenditore”, ha commentato Andrea Ghidoni, vicepresidente di Aipb. “Questo rapporto personale e fiduciario rappresenta una risorsa preziosa per accompagnarlo nelle diverse fasi della sua attività”.
Nella fase di sviluppo dell’azienda, “l’imprenditore è completamente concentrato sulla sua creatura: l’azienda”, ha precisato Ghidoni. “Il nostro ruolo qui si focalizza sulla gestione degli investimenti con una logica di protezione del capitale”. Più determinante è il ruolo del banker nelle fasi successive, quando si verifica un passaggio generazionale o una vendita dell’azienda. In queste fasi, ha detto il vicepresidente Ghidoni, “la fiducia che abbiamo costruito ci permette di affiancare l’imprenditore nelle scelte e nelle valutazioni strategiche, ma è altrettanto essenziale coinvolgere un team multidisciplinare per offrire soluzioni complete”.
E dopo un evento di liquidità? In questo caso, il compito del banker sarà “individuare i nuovi investimenti che possano mantenere vivo il suo coinvolgimento; dall’altro, orientarlo verso strumenti come i mercati privati, che offrono opportunità di investimento più vicine alla realtà aziendale, con un legame diretto e tangibile con il mondo imprenditoriale”.