Molti imprenditori italiani non conoscono strumenti finanziari che per chi lavora nel private banking sono ormai pane quotidiano. E’ quanto ha sottolineato Andrea Ragaini, presidente dell’AIPB, aprendo i lavori dell’incontro dedicato alla relazione tra private banking e imprese, svoltosi il 30 giugno a Milano presso la Fondazione Rovati. “C’è un tema di conoscenza – ha detto – tendiamo a dare per assodato che il livello sia alto, e per questo forse non ne parliamo abbastanza. Ma la realtà è diversa.”
Quando si chiede a un imprenditore se prenderebbe in considerazione un’apertura del capitale, la risposta spesso è positiva. Ma il modello mentale resta quello del socio industriale. “Private equity, venture capital, club deal sono fuori dal radar. E allora cosa possiamo fare come banker? Dobbiamo aumentare la loro consapevolezza finanziaria. E vale anche per i nostri clienti: se non conoscono i private markets come investitori, non li conosceranno nemmeno come imprenditori.”
Il banker come ponte tra patrimonio e impresa
Secondo Ragaini, il banker deve saper affrontare temi che vanno oltre il portafoglio: “Se il cliente non è imprenditore, parliamo del patrimonio e della famiglia. Se è imprenditore, il dialogo si estende all’azienda. E lì possiamo parlare anche di statuti, patti di famiglia, strumenti di pianificazione patrimoniale.”
Un’area particolarmente vicina alla sensibilità del private è quella della protezione. “Circa il 25% delle masse dei private banker passa attraverso strumenti assicurativi. Anche questo è un ambito dove possiamo accompagnare gli imprenditori, spesso scoperti.”
Impresa coraggiosa, portafolio prudente?
L’imprenditore è solo in apparenza il cliente ideale del private banker, ma nella realtà la gestione puramente finanziaria del patrimonio viene spesso mantenuta molto liquida e quindi poco dinamica. Questa distanza fra entità del patrimonio e prudenza di gestione riflette spesso una tensione tra l’operatività aziendale e la gestione delle finanze personali. Come si legge nel report EY-AIPB, presentato in occasione dell’evento, “il 63% degli imprenditori intervistati ha un orizzonte temporale di investimento inferiore ai 5 anni”, segno di un’impostazione ancora orientata al breve termine. Questo si riflette anche nella scarsa diffusione di strumenti più sofisticati: “solo il 12% degli imprenditori utilizza strumenti di private market nel portafoglio personale”. Una distanza che ha radici profonde nella psicologia stessa dell’imprenditore: “è abituato a rischiare nella sua azienda, ma sul fronte personale mostra un atteggiamento più conservativo: privilegia la disponibilità immediata di liquidità e la capital preservation”.
Incarnato (EY): ecco i modelli del private applicati all’imprenditore
Servire l’imprenditore oggi significa molto più che offrire una consulenza patrimoniale: vuol dire accompagnarlo lungo il percorso di trasformazione personale, aziendale e generazionale, diventando un vero partner del benessere futuro, anche degli “engineers di domani”, ha dichiarato Giovanni Andrea Incarnato, Italy Wealth & Asset Management Sector Leader di EY, nel corso della presentazione del nuovo report. Tre sono i modelli organizzativi emersi nell’industria al termine della mappatura realizzata dalla società di consulenza:
- Il modello cross-divisionale, proprio dei grandi gruppi bancari, dove il private banker resta il dominus della relazione ma opera in sinergia con le aree corporate e investment banking. Un modello che funziona solo se supportato da una governance efficace e da sistemi premiali capaci di riconoscere e valorizzare le sinergie create.
- Il modello integrato, adottato soprattutto dagli operatori indipendenti, che costruiscono l’offerta combinando competenze interne e partnership esterne. Qui il successo dipende da meccanismi di segnalazione fluida, condivisione delle competenze e coordinamento continuo.
- Il modello “hub & network”, più tipico dei contesti internazionali, basato su team multidisciplinari altamente qualificati che operano in modo virtuale o fisico attorno al cliente imprenditore, offrendo un servizio su misura e orientato alla complessità.
Architetture organizzative a parte, occorre una distinzione tra servizi “must-have” e servizi davvero differenzianti. I primi – investimenti tradizionali, credito bancario – sono comuni a tutte le reti. I secondi, invece, determinano la qualità della relazione: tesoreria aziendale personalizzata, operazioni di private market e club deal, progetti di M&A e accesso ai capitali, finanza agevolata e strumenti di wealth planning evoluto. “Servire gli imprenditori non è un’attività spot, ma una relazione consulenziale continuativa, che richiede tempo, competenze verticali e capacità di ascolto profondo.” Per questo – ha aggiunto Incarnato – i banker devono cambiare pelle: sviluppare soft skill, capacità di negoziazione interna, e una postura commerciale matura, che li renda credibili e utili anche su temi complessi. Solo così potranno davvero intercettare le esigenze di una generazione di imprenditori che chiede meno prodotti e più visione
Greco (Bper): “Il nostro progetto sinergie ora è centrale”
Per Fabrizio Greco, responsabile private banking di Bper, l’integrazione con il corporate è diventata una priorità. “Tutte le operazioni di acquisizione ci hanno portato fin qui. Abbiamo imparato da esperienze e anche da errori. Ora il nostro obiettivo è mettere a sistema ciò che abbiamo raccolto.”
Greco ha evidenziato un dato chiave: solo il 14% dei clienti private del gruppo sono imprenditori attivi. “Siamo al di sotto della media di mercato. C’è quindi margine di crescita importante.” Il progetto sinergie è partito nel settembre 2024, dopo il lancio della nuova versione della banca. E oggi coinvolge direttamente il vertice. “Il nostro CEO viene dal corporate e crede profondamente nell’integrazione con il private. Io stesso sono coinvolto insieme ai responsabili delle divisioni corporate e investment banking.”
Per rendere il modello operativo, è stata creata una struttura di sei persone, con un mandato chiaro: facilitare le sinergie sul territorio, senza obiettivi commerciali diretti. “Sono presenti nelle aree dove ci sono più opportunità e anche più resistenze organizzative. Il loro compito è sbloccare il potenziale.”
Bonansea (Bnl): “Una sfida culturale prima ancora che tecnica”
Luca Bonansea, Direttore della Divisione Private Banking & Wealth Management, ha sottolineato come il rapporto con l’imprenditore richieda un posizionamento preciso.
“L’imprenditore ha una visione patrimoniale che non è convenzionale: non è detto che voglia ‘investire’ nel senso classico del termine, non è detto che voglia proteggere, diversificare. L’imprenditore ha un rapporto con il rischio completamente diverso rispetto a un manager o a un cliente privato Se ci limitiamo a parlargli di prodotti, a mostrargli presentazioni eleganti, non ci ascolterà”, ha dichiarato Bonansea, “il vero punto è che l’imprenditore tende a concentrarsi sull’impresa, e a considerare il patrimonio personale come qualcosa di secondario o, peggio, indistinto. Ma lì dentro ci sono risorse ferme, che possono essere valorizzate con strumenti adatti. Dobbiamo diventare rilevanti, entrare nei suoi ragionamenti, capire perché tiene così tanta liquidità, perché non si espone, perché preferisce ‘vederla lì’”.
A livello di sinergie gruppo Bnp ha scelto di mantenere separate le competenze specialistiche, soprattutto sull’investment banking, e al tempo stesso di rafforzare i ponti tra coverage, private e corporate. “Il nostro executive committee è incentivato a favorire le sinergie. Questo tipo di integrazione deve partire dall’alto.”
Un altro asse di lavoro è la formazione. “Abbiamo introdotto percorsi rigorosi per banker con profilo ibrido, con logica master, esami di passaggio e certificazioni. Serve più della relazione: servono tecnicalità e capacità di leggere i bisogni impliciti.”
Miraglia (Unicredit): “Sinergie tra private e corporate premiate in modo reciproco”
In Unicredit il modello appare piuttosto diverso da quello adottato da Bnp. La parola d’ordine è “integrazione” per Renato Miraglia, responsabile wealth management e private banking: “Circa il 50% della crescita del private banking è legata alla collaborazione con il corporate. Abbiamo costruito un modello che unisce i poli territoriali, con presenza fisica garantita e identità unica”. Il tutto sotto la stessa entità legale: “Abbiamo strutturato un modello “Unica”, che unisce tutti gli attori – corporate, private, retail, investment banking. I poli territoriali sono gemellati e le reti collaborano sul campo, con presenza fisica garantita: 131 sedi private in Italia, anche se magari solo una volta a settimana, per garantire prossimità, fiducia e relazione personale“.
Il sistema incentiva i comportamenti virtuosi in modo bilaterale: “Premiamo i colleghi corporate che portano masse al private, ma anche i banker private che attivano società operative. Il risultato è una collaborazione simmetrica.”
Il gruppo ha investito in team specialistici distribuiti anche fuori da Milano, con competenze in M&A, co-investimenti, progetti energetici, governance familiare e wealth planning. E ha sviluppato un approccio integrato per i gruppi imprenditoriali, con un’unica anagrafica e ruoli distinti ma complementari.
Ma per Miraglia, il nodo resta uno: “Lo dico con franchezza – nessun modello funziona senza fiducia personale tra i banker coinvolti. Serve un lavoro manageriale profondo per far sì che chi segue la parte private e chi segue la parte corporate riescano ad andare d’accordo e si fidino l’uno dell’altro. Senza questo, nessun disegno organizzativo regge”.
Domande frequenti su Bper, Unicredit e Bnp: così il private banking dialoga con l’impresa
Andrea Ragaini ha sottolineato una lacuna nella conoscenza degli strumenti finanziari da parte di molti imprenditori italiani, strumenti che invece sono ben noti nel settore del private banking. Questa mancanza di familiarità può limitare le opportunità di crescita e gestione del patrimonio aziendale.
L'articolo menziona Bper, Unicredit e Bnl come istituti bancari impegnati nel creare un dialogo tra le divisioni di private banking e le imprese. Queste banche sembrano voler colmare il divario di conoscenza evidenziato nell'articolo.
Bonansea di Bnl identifica la sfida principale come 'una sfida culturale prima ancora che tecnica'. Ciò suggerisce che superare le barriere mentali e le diverse prospettive tra i due mondi è cruciale per una collaborazione efficace.
L'articolo suggerisce che il private banking può fungere da 'ponte tra patrimonio e impresa', offrendo agli imprenditori strumenti e competenze per una gestione più efficace delle proprie risorse finanziarie.
Miraglia (Unicredit) afferma che le 'sinergie tra private e corporate' sono 'premiate in modo reciproco'. Questo implica che sia il settore private banking che quello corporate traggono beneficio da una maggiore collaborazione e integrazione.