Non più solo colossi statunitensi: la rivoluzione digitale è di tutti

La pandemia ha accelerato una trasformazione digitale già in atto da decenni e potrebbe aver ampliato le opportunità per gli investitori. Ne parliamo con gli esperti di Capital Group

La digitalizzazione non è più affare dei soli colossi tecnologici statunitensi e in tutti i settori le aziende stanno adottando nuove tecnologie al fine di migliorare i propri business e modificare il modo di vivere e lavorare. A sostenerlo è Martyn Hole, investment director di Capital Group. “Non tutte le aziende che optano per una trasformazione digitale avranno la meglio, però, nel lungo termine”. L’essenziale, prosegue Hole, è comprendere appieno la strategia digitale di un’azienda e le sue prospettive di successo.

Una rivoluzione globale

L’espressione “trasformazione digitale” si riferisce all’adozione della tecnologia per trasformare i processi e i servizi aziendali da non digitali a digitali. Ciò comprende, ad esempio, lo spostamento dei dati nel cloud, l’utilizzo di dispositivi e strumenti tecnologici per la comunicazione e la collaborazione, l’automazione dei processi.
La pandemia ha accelerato i processi di digitalizzazione, poiché sempre più persone hanno continuato, per quanto possibile, le proprie attività attraverso i canali online: per lavorare, ad esempio, ma anche studiare, comunicare, vendere, acquistare o per divertirsi. Le misure di contenimento del contagio hanno così assunto un ruolo di promotori di questa trasformazione dalla cosiddetta “old economy” alla “new economy”: le aziende di vari settori provenienti dal sistema economico precedente all’avvento del commercio elettronico e della globalizzazione, infatti, stanno investendo in tecnologia per reinventare e rivitalizzare le loro attività attraverso l’automazione, le vendite online e l’apprendimento automatico.
Secondo i dati Statista, la spesa globale per la rivoluzione digitale dovrebbe aumentare dai 1300 miliardi di dollari del 2020 a 1800 miliardi entro la fine di quest’anno, 2400 miliardi nel 2024 e 2800 nel 2025.

Alcuni esempi

Con la pandemia, quando i lockdown sono diventati la nuova normalità, le aziende e i consumatori sono diventati sempre più “digitali”, fornendo e acquistando più beni e servizi online: secondo quanto riportato dalla Conferenza delle nazioni unite sul commercio e lo sviluppo (Unctad), la quota dell’e-commerce nel commercio al dettaglio globale è passata dal 14% nel 2019 a circa il 17% nel 2020. Uno studio condotto da Statista prevede che le vendite di e-commerce al dettaglio (pari a circa 4,9 mila miliardi di dollari in tutto il mondo nel 2021) cresceranno del 50% nei prossimi quattro anni, raggiungendo circa 7,4 mila miliardi di dollari entro il 2025.
Alcuni esempi virtuosi di trasformazione digitale arrivano dagli Stati Uniti (Usa). Home Depot e Williams Sonoma, rivenditori al dettaglio di arredi, utensili da cucina e prodotti per la manutenzione della casa, hanno integrato i punti vendita fisici con una presenza sul web, permettendo ai clienti di acquistare online e ritirare in negozio. Ma non solo: anche società di prodotti per la cura della persona, come L’Oréal in Francia e il produttore di elettrodomestici Midea Group in Cina, hanno incrementato la loro digitalizzazione.
Non tutte le aziende che optano per una trasformazione digitale avranno la meglio, però, nel lungo termine. In questo contesto, diventa fondamentale per gli investitori comprendere le strategie digitali di un’azienda e le sue prospettive di successo.

Ribilanciamento e selezione

“La leadership di mercato è essenzialmente invariata rispetto al periodo pre-pandemia”, commenta Matteo Astolfi, managing director di Capital Group. “Persino al di fuori degli Usa, i vincitori sono principalmente società incentrate sulla tecnologia che beneficiano degli stessi fattori alla base della crescita dell’e-commerce, del cloud computing e dei media interattivi”.
Data la prosecuzione delle tendenze pre-pandemiche, gli investitori potrebbero dover tenere conto dei rischi legati alla fase finale di un lungo mercato rialzista e, in particolare, alla tensione tra inflazione e deflazione che nei prossimi anni potrebbe determinare l’andamento del mercato.
L’inflazione potrebbe infatti erodere i profitti delle società, pertanto anche i rendimenti degli investitori. Le società con un potere di determinazione dei prezzi potrebbero essere allora in grado di proteggere i margini di profitto riversando questi costi sui clienti. Alcuni esempi? Netflix, che con una serie di successi come “Squid Game” e una domanda apparentemente insaziabile da parte degli spettatori hanno permesso di aumentare i canoni di abbonamento quattro volte negli ultimi 10 anni. Ma anche aziende che forniscono servizi essenziali, come i giganti della sanità Pfizer e UnitedHealth Group, società di beni di consumo con un forte riconoscimento del marchio, come Coca-Cola, o imprese attive in settori con dinamiche di domanda e offerta favorevoli, come i produttori di semiconduttori e attrezzature per chip TSMC e ASML, nonché aziende che servono clienti relativamente insensibili alle variazioni di prezzo, come le società di beni di lusso LVMH e Kering.
“Nonostante la sua complessità, il contesto è tuttavia ideale per effettuare investimenti selettivi basati sulla ricerca bottom up dei fondamentali”, conclude l’esperto.

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