Manca ormai meno di un mese alle attesissime elezioni presidenziali e, per chi segue le varie interviste di Trump, dovrebbe essere chiara una cosa: la campagna elettorale di quest’anno suona come già sentita, sembra la terza stagione dello stesso show già visto più volte.
E tra i vari focus dell’ex presidente della Casa Bianca, non ci sono dubbi sul fatto che il commercio rimanga uno tra i suoi preferiti. Nelle sue ultime tre campagne elettorali il motto di Trump è rimasto sempre lo stesso: America First. Un motto che forse oggi potrebbe essere tradotto, in modo semplicistico, come protezionismo.
Aumento dei dazi per proteggere gli Stati Uniti
Il piano di Trump prevede un aumento dei dazi sulle importazioni dalla Cina fino al 60% e del 10% per tutti gli altri paesi. E, come presentato da Tom Porcelli e James Sonne, rispettivamente Chief US economist e Head of Government Affaris di PGIM, nella loro video intervista, queste sono cose che potrebbe fare da solo, senza il supporto del Congresso.
Non si tratta di novità o di decisioni inaspettate. L’obiettivo del partito repubblicano è quello di riportare la produzione necessaria negli Stati Uniti, penalizzando le aziende che producono all’estero e, ancora con più forza, in Cina. Basti pensare che quest’estate, in un incontro in Michigan l’ex presidente aveva promesso alle case automobilistiche statunitensi storiche che volevano produrre in Messico di imporre una una tariffa del 200%, il che significherebbe non poter più essere vendute negli Stati Uniti, sottolineando come “le tariffe sono la cosa più bella mai inventata”.
Certo, valutare gli effetti della proposta di Trump è complesso, in particolare per quanto riguarda l’aumento dei dazi al 60% sulle importazioni cinesi. Se da un lato si può prevedere una possibile ritorsione da parte della Cina sulle importazioni dagli Stati Uniti, dall’altro è difficile stimare come potrebbero reagire gli altri Paesi coinvolti.
Anche un aumento generalizzato del 10% delle tariffe potrebbe rivelarsi una questione delicata, avendo un impatto sell’1% sull’inflazione. Eppure, secondo gli esperti, un ragionamento simile presuppone che sarebbero i consumatori a farsi carico di tutto il peso dell’aumento, mentre questo non sarebbe il caso. “Anche le imprese si faranno carico di una parte dell’onere. E penso – spiega Somme – che le aziende, sapendo che le persone stanno facendo molta fatica ad assorbire alcune di queste pressioni sui prezzi, stiano già iniziando a ridimensionarle. Quindi sembra che le aziende potrebbero assorbire un bel po’ di denaro”.
Immigrati? No grazie, il potere dei confini
Un altro dei temi che stanno più a cuore a Trump è la sicurezza dei confini che risulterebbe direttamente in una drastica riduzione dell’immigrazione. Anche in questo caso, se il magnate americano dovesse riuscire a vincere le elezioni, avrebbe nelle sue mani un grade potere di regolamentazione dell’immigrazione, senza il necessariamente passare dal Congresso. Certo, finché si parla di operazioni enormi – come il tanto discusso muro tra Stati Uniti e Messico – il finanziamento del Congresso sarebbe fondamentale, ma sembra che Trump al momento abbia in mente richieste ben più precise e mirate. L’obiettivo dei repubblicani è far capire agli americani il valore dei confini, come fonte di sicurezza e tranquillità per chi vive al suo interno.
Eppure, la sicurezza non è l’unico tema legato all’immigrazione, anzi. Secondo gli esperti di PGIM, l’effetto più evidente e, allo stesso tempo rischioso, sarebbe in ambito economico. La popolazione degli Stati Uniti sta invecchiando. Non è una novità e tanto meno un segreto, ma spesso ci si dimentica che quando questo accade, i tassi di crescita sono destinati a rallentare.
In una simile situazione, solitamente ci sono due cose che possono salvare la crescita: un boom di produttività oppure serve tempo, tempo per il mercato di fare il suo corso e trovare un nuovo equilibrio. Secondo Somme, però, vi è una terza soluzione: aumentare l’organico, ovvero inserire nuove persone giovani nel mercato del lavoro. Al momento questa sembra la soluzione che sta funzionando al meglio e, in tal senso, bloccare l’immigrazione avrebbe un forte impatto sulla produttività statunitense. Proteggere i confini offrirebbe più opportunità o danni per gli States?