Donald J. Trump è stato eletto 47esimo presidente degli Stati Uniti, con gli elettori che hanno preferito puntare sul protezionismo e sulla deregolamentazione, piuttosto che sull’espansione normativa di Kamala Harris.
Sicuramente non si può dire che questo esito sia una sorpresa, anche se sono molti gli investitori che sono rimasti a bocca aperta davanti all’ondata rossa che attraversa l’America da nord a sud, passando per il Senato e anche per il Congresso. Sicuramente il mercato non è rimasto sorpreso, ma ha anzi preso la vittoria del Tycoon come una spinta per prendere il volo.
L’indice S&P500, considerato il benchmark della borsa americana, ha festeggiato la rielezione di Donald Trump mettendo a segno la miglior settimana dell’anno (+4,66% il bilancio finale). Toccata per la prima volta nella storia quota 6mila punti, con il bilancio da inizio anno che si è ampliato a +25,70%. Il Russell 2000, l’11 novembre, ha aggiunto un altro 0,71% a 2.399,64 sulla strada per una corsa di cinque giorni dell’8,6%, portandosi a casa la sua migliore settimana in oltre quattro anni. Il dollaro ne è uscito raffrozaro e il Bitcoin è volato in prossimità di 90.000.
Dal free trade al Trump trade
Secondo i repubblicani, l’amministrazione Biden è colpevole di aver soffocato l’economia statunitense con molte regole, mentre provava a iniettare liquidità attraverso programmi insufficienti, come l’Inflation Reduction Act. Proprio per questo, come spiega Jens Foehrenbach, Head of Public Markets di Man Group, Trump parte dall’idea di favorire le imprese attraverso un nuovo sistema di deregolamentazione. “Detto questo, i repubblicani comprendono che la politica di bilancio trae vantaggio dallo status di valuta di riserva del dollaro, rendendo improbabile un significativo sell-off dei titoli di Stato statunitensi. Tuttavia, ciò non significa che gli Stati Uniti non dovranno fare i conti con rendimenti più elevati, il che potrebbe vincolare le priorità politiche. Questo potrebbe anche limitare gli impulsi più radicali del neo-eletto presidente”.
Rally azionario, ma non tutti i titoli sono uguali
Prendendo come base il primo mandato di Trump e le sue promesse elettoriali, sono molti i segnali che lasciano presagire che ci sarà una significativa attenzione verso una riduzione delle aliquote fiscali dal 21% al 15% per le imprese del settore manifatturiero che producono negli Stati Uniti, con notevoli vantaggi per le società più piccole grazie alla riduzione degli oneri fiscali.
Allo stesso tempo, però, le rinnovate pressioni inflazionistiche potrebbero costrigere la Federal Reserve a cambiare la sua politica monetaria. Basti pensare chele previsioni legate ai tagli attesi dalla Fed, sono già stati rivisti al ribasso. Il tasso previsto per dicembre 2025 è arrivato al 3,85%, con un rialzo di circa 100pb dalla metà di settembre, prima del miglioramento nel flusso di dati macro e della ripresa di Trump nei sondaggi, culminata con la sua vittoria. Questo significa che gli investitori si attendono ora solo tre tagli da qui alla fine dell’anno prossimo.
A soffrirne potrebbero essere le imprese a piccola capitalizzazione, che fanno molto affidamento sul debito a tasso variabile. Al contrario, spiega l’esperto di Man Group, “i titoli finanziari, che in genere beneficiano di tassi di interesse più elevati e di una regolamentazione più snella”, si trovano in una posizione interessante.
Un altro grande punto di domanda si trova intorno al tema dei dazi: tariffe al 60% sulla Cina e al 10% sul resto del mondo sono promesse o solo una tattica di negoziazione per futuri accordi commerciali? Misure simili non solo avrebbero un impatto sulle grandi economie esportatrici come Cina, Messico e Unione Europea, ma anche sugli stessi consumatori statunitensi, con un rischio di aumento dei prezzi per i beni di consumo discrezionali.
Spazio per un regime antitrust più morbido
Tradizionalmente, i repubblicani sono a favore del libero mercato, ma Trump si muove un po’ contro tendenza. Eppure, dopo anni di un regime antitrust molto rigido, anche il minimo allegerimento potrebbe creare uno scenario molto più favorevole per le operazioni di M&A (merging and acquisition). Questo vale, secondo Man Group, soprattutto per il settore sanitario e della tecnologia, ma anche il mondo del private equity potrebbe tornare con forza sul mercato. Infatti, nonostante un ritmo particolarmente lento quest’anno, il previsto taglio dei tassi e i fondi che verranno messi a disposizione, potrebbero spingere verso la ripresa del settore.
Il tempo del credito non è ancora finito
Anche guardando al mercato del credito, il piano di Trump rimane fortemente pro-business e, in un simile scenario, i settori energetico, finanziario e parte di quello sanitario potrebbero beneficiarne in larga parte. Al contrario, i comparti esposti alle importazioni potrebbero soffrire nel caso dell’imposizione di dazi. Inoltre, considerando che nel futuro l’economia statunitense sarà costretta a convivere con tassi più elevati, secondo Foehrenbach, “dovrebbe anche aumentare l’attrattiva dei prestiti a tasso variabile, delle collateralized loan obligations e delle strategie di direct lending”.
Non ci sono dubbi, sono molte le dinamiche che potrebbero pesare sul mercato del credito, ma l’impatto dovrebbe comunque essere modesto perché, nel lungo termine, l’obiettivo della Fed rimane quello di tagliare i tassi e le tendenze chiave del mercato, come la crescita del credito privato, sono destinate a continuare.