E’ stato sufficiente un semplice tweet del presidente Trump per far crollare l’S&P 500 di oltre il 12% in quattro giorni. Una reazione a catena, quella innescata dall’annuncio di nuovi dazi in occasione del Liberation Day lo scorso 2 Aprile, che ha generato una volatilità estrema sui mercati globali. Eppure, nella frenesia della discesa e nella calma della risalita, l’obbligazionario ha offerto spunti tecnici e fondamentali che meritano di essere osservati con attenzione. Una lezione sul rischio, la liquidità e la selezione, spiegata da Johnathan Owen, Portfolio Manager di Vontobel Institutional Clients.
I dazi e il ritorno della volatilità
L’annuncio a sorpresa del Presidente Trump del 2 aprile, relativo a un’estensione tariffaria unilaterale, ha innescato uno dei periodi più turbolenti sui mercati finanziari degli ultimi anni. La reazione iniziale è stata violenta: lo S&P 500 ha perso oltre l’12% nel giro di pochi giorni, prima di recuperare nella seconda metà del mese grazie alla sospensione di 90 giorni concessa a tutti i partner commerciali eccetto la Cina. Il Nasdaq, sostenuto dal rientro degli acquisti su titoli tecnologici, ha chiuso addirittura in territorio positivo. Il DAX tedesco ha mostrato resilienza, mentre la Cina ha sofferto maggiormente, penalizzata da dazi fino al 145% sulle esportazioni.
“Questo recupero – spiega Owen – tuttavia, non è stato casuale. Ha riflesso l’aspettativa crescente di un possibile compromesso tra Stati Uniti e Cina, alimentando una narrativa di “buy the dip” tra gli investitori. Tuttavia, ciò che è emerso è anche una crescente biforcazione nella percezione del rischio tra aree geografiche, un punto critico per i gestori di portafoglio globali”.
Obbligazionario sotto pressione, ma selettivo
Il mercato obbligazionario ha reagito in maniera coerente con un contesto di risk-off: “Gli spread si sono allargati in modo marcato nei primi giorni del mese – commenta Owen – per poi restringersi gradualmente grazie al raffreddamento della retorica sui dazi. I corporate bond investment grade statunitensi hanno registrato un allargamento contenuto di soli 12 punti base a fine mese, mentre nel Regno Unito e in Europa gli spread si sono mossi di circa 17 punti base.
Il mercato high yield ha subito un impatto più significativo, soprattutto nei segmenti lower-rated e con maggiore esposizione ciclica. “Questo riflette una maggiore elasticità degli spread rispetto alle aspettative di crescita globale. Anche la dispersione settoriale è stata marcata: settori sensibili alle tariffe come l’automotive hanno subito allargamenti importanti, mentre comparti difensivi come utility e telecomunicazioni hanno mostrato comportamenti più stabili o addirittura compressione degli spread”.
La reazione dei Treasury e la crisi del “bene rifugio”
Il Treasury americano, da sempre considerato bene rifugio per eccellenza, ha visto inizialmente un rally, con il rendimento del decennale in discesa di 30 punti base subito dopo l’annuncio dei dazi. Tuttavia, questo movimento si è rapidamente invertito, non tanto per ragioni macroeconomiche quanto per motivazioni tecniche: “Si è trattato in gran parte della chiusura forzata di posizioni speculative long-short da parte di hedge fund impegnati in basis trade – osserva l’esperto di Vontobel – che ha innescato vendite massicce sui titoli a lunga scadenza”.
Il trentennale USA ha superato la soglia del 5%, con il decennale arrivato a un picco del 4,6%. Questo ha messo in dubbio il ruolo dei Treasury come asset risk-free globale. “Fonti interne all’amministrazione USA riportano che la reazione negativa dei mercati abbia spinto il Presidente a concedere la moratoria di 90 giorni, su consiglio del Segretario al Tesoro Scott Bessent e del Segretario al Commercio Howard Lutnick. Sullo sfondo, cresce anche lo scetticismo verso la capacità del governo di ridurre il deficit attraverso i proventi tariffari e supposte ‘efficienze Musk-iane'”.
Europa più stabile: Bund e Gilts premiati
Rispetto ai Treasury, Bund tedeschi e Gilts britannici hanno registrato un’extra performance rispettivamente di 26 e 20 punti base. Questo è stato interpretato come una fuga verso mercati con maggiore coerenza politica e margine di manovra monetaria. “In Europa, infatti, le tariffe sono percepite più come un freno alla crescita che come fattore inflazionistico, lasciando alla BCE e alla Bank of England uno spazio maggiore per allentare le condizioni monetarie se necessario“.
La rotazione da titoli statunitensi a titoli europei è stata evidente anche nei flussi e nell’allocazione strategica degli asset manager, che hanno cercato esposizione a duration più protettive in contesti regolatori e politici meno imprevedibili.
Flussi in ripresa dopo tre settimane di deflussi
Dopo tre settimane di deflussi consecutivi, i fondi di credito hanno registrato una netta inversione della tendenza. I fondi europei hanno visto un afflusso netto di 770 milioni di dollari, parzialmente recuperando i 3,5 miliardi di dollari usciti nel mese precedente. Negli Stati Uniti, il rimbalzo è stato ancora più marcato, con afflussi netti di 3,6 miliardi rispetto a deflussi cumulativi di 20 miliardi nel periodo precedente.
“Nel dettaglio – spiega Owen – i fondi investment grade europei hanno attratto 554 milioni, più del doppio rispetto agli high yield. Negli USA, invece, sono stati proprio i fondi high yield a registrare la totalità degli afflussi, mentre l’investment grade ha segnato ancora una piccola fuoriuscita di 79 milioni di dollari. Questo evidenzia una divergenza significativa nel comportamento degli investitori tra le due sponde dell’Atlantico“.
Mercati primari: ritorno della domanda
Il mercato primario è rimasto chiuso nei giorni successivi al 2 aprile, ma ha visto un ritorno in grande stile verso la fine del mese.
Negli Stati Uniti, sono stati collocati 41,6 miliardi di dollari in 33 operazioni investment grade, con metriche di esecuzione molto forti. I book sono stati in media 4,2 volte sovrascritti (contro una media YTD di 3,6), con uno stringimento medio degli spread di 28,5 punti base rispetto alla guidance iniziale. In Europa, la domanda ha superato i 70 miliardi per nuove emissioni pari a 28,4 miliardi. Alphabet ha lanciato un’operazione da 6,75 miliardi in cinque tranche, la più grande dal 2020. Anche Visa e Fiserv hanno emesso in formato multi-tranche, approfittando delle condizioni più favorevoli sul mercato europeo rispetto a quello statunitense.
Liquidità sotto stress, ma solida
Come atteso, la volatilità ha peggiorato temporaneamente la liquidità sul mercato del credito, con un allargamento degli spread denaro-lettera. Nei titoli AT1 più rischiosi, gli spread hanno toccato anche 1 punto, anche se nella maggior parte dei casi si sono mantenuti intorno ai 50 centesimi. Per i senior bond investment grade, gli spread si sono mossi verso la fascia alta della forchetta 5–10bp, con maggiore deterioramento nei settori industriali e automotive.
“Tuttavia, nonostante lo stress, il funzionamento del mercato è rimasto stabile. Non si sono verificati episodi di illiquidità sistemica e, a distanza di pochi giorni, gli spread sono rientrati su livelli normali, segno che la profondità di mercato resta buona”.
In conclusione
Il mese si è concluso con mercati in apparente equilibrio, ma le forze destabilizzanti restano in piena attività: incertezza sulle politiche commerciali USA, rischio geopolitico, debolezza della crescita e squilibri fiscali.
“Il cosiddetto “Trump put” – conclude Owen – sembra aver fissato un supporto per l’S&P 500 intorno a quota 5.000 e un tetto per il trentennale USA al 5%. Tuttavia, l’impatto reale dei dazi, in particolare quelli tra il 50% e il 65% sulla Cina, non si è ancora pienamente riflesso nei dati macroeconomici. Per gli investitori nel credito, la selettività resta cruciale. Settori con fondamentali solidi e bassa esposizione ai dazi come banche, telecomunicazioni e utility appaiono ben posizionati mentre dovrebbe essere più cauto l’approccio verso ciclici, energy a basso rating ed esportatori industriali. Nonostante tutto, il credito continua a offrire valore grazie a rendimenti ancora interessanti, break-even favorevoli e carry elevato. In un contesto dove il rumore politico resta alto, i mercati obbligazionari potrebbero continuare a rappresentare un’ancore di stabilità“.