L’arte come strumento di diversificazione
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Scopri di piùLe opere d’arte possono essere un asset ma non saranno mai solo un’asset class. Vanno maneggiate con cura – anche in finanza. Come fare a gestire, tutelare e monetizzare opere di valore? Rispondono Annapaola Negri Clementi (Negri-Clementi Studio Legale), Marco Paracchi (Studio Tremonti) e Alessandro Cuomo (Finarte) nel podcast di We Wealth per Credit Suisse
“Comprendere oggi quali siano le modalità di acquisto nel mercato dell’arte, gli strumenti di tutela dai rischi legati alle caratteristiche delle opere e il quadro fiscale che ruota intorno al collezionismo – ha sottolineato Manuela Soncini, Head of wealth planning di Credit Suisse – è importante per il mondo del wealth management, il cui obiettivo è seguire il patrimonio delle famiglie nella sua interezza e nella sua evoluzione, in relazione a diverse esigenze e interessi nel tempo.
Abbiamo chiesto di parlarcene ad Annapaola Negri Clementi, avvocato e manager partner dello Studio Legale Negri-Clementi, a Marco Paracchi, avvocato dello studio Tremonti, e ad Alessandro Cuomo, responsabile del Dipartimento di Arte Moderna e Contemporanea di Finarte”.
Il collezionismo
A volte passione, a volte tradizione di famiglia, a volte investimento: per quale ragione un collezionista acquista opere d’arte?
Annapaola Negri Clementi: “Dalle indagini dell’ultimo report a disposizione risalente al 2017 di Art & Finance di Deloitte risulta che solo il 3% degli acquirenti globali compra arte con l’intento di avere un ritorno finanziario. Il 32% compra arte esclusivamente per passione, per estrarre solo il dividendo estetico, mentre il 65% si pone in un acquisto di passione e di pancia, ma dopo aver verificato quegli elementi in grado di assicurare il valore economico del bene oggi e di mantenerlo in futuro”.
Piacere dell’acquisto in primo luogo, ma anche attenzione a ciò che si compra. Parlare di acquisto consapevole significa assicurare che il valore dell’opera d’arte non subisca effetti negativi a causa di un comportamento non corretto al momento della compravendita. È necessario attivare tutti i presidi di tutela a nostra disposizione già nella fase di acquisto e verificare con attenzione la presenza di alcuni documenti: il certificato di autenticità ed eventuali expertise rilasciate da esperti, il titolo di acquisto e i documenti di provenienza, la presenza dell’opera nel catalogo ragionato o generale d’artista e la bibliografia dell’opera, il condition report redatto da uno studio di restauro professionale. Comporre la propria collezione in maniera consapevole significa raccogliere o richiedere tutto questo.
A cosa serve il certificato di autenticità?
Annapaola Negri Clementi: “Il certificato di autenticità è uno dei più importanti documenti per l’opera d’arte. Alcuni addirittura sostengono che sia più prezioso dell’opera stessa: possederlo può fare la differenza, specialmente in fase di vendita. Il certificato di autenticità per le opere d’arte contemporanea è rilasciato dall’artista o dalla galleria che lo rappresenta; se invece l’artista non è più in vita, dall’archivio o dalla fondazione dell’artista. Infine, in assenza di archivio o fondazione, può essere emesso da un esperto universalmente riconosciuto dal mercato dell’arte. La presenza di specifici documenti a corredo dell’opera è garanzia del valore artistico ed economico del bene stesso”.
La verifica di tutti questi elementi rappresenta il processo di due diligence. In questo caso il fai da te è sconsigliato: si richiede un livello di professionalità e competenze tipiche di operatori specializzati.
Dove posso trovare un operatore che mi aiuti a fare una due diligence sull’operazione di opere d’arte che voglio acquistare?
Annapaola Negri Clementi: “Sono diversi gli operatori che si occupano di due diligence. Tra questi ci sono senz’altro gli studi legali, le società di art advisory, gli art expert, le case d’asta. Due diligence significa aiutare l’acquirente a verificare con la dovuta diligenza la presenza di alcuni elementi che sono essenziali e che possono poi incidere sull’identificazione e sulla qualità dell’opera d’arte. Si tratta primariamente dell’autenticità e della provenienza, del titolo di acquisto e della libera circolazione, che in realtà rappresenta l’assenza del vincolo di dichiarazione di eccezionale interesse eventualmente posta dal Mibac”.
Alessandro Cuomo: “Le case d’asta operano cercando di ricostruire la storia delle collezioni e di ogni singola opera. Attraverso questi approfondimenti, in particolare per le opere di grande prestigio, si va a stilare una sorta di pedigree che è quello che crea l’interesse dei collezionisti che studiano gli artisti di riferimento. E’ importante il lavoro di tutela e di approfondimento che viene fatto anche rispetto alla provenienza lecita delle opere. I cataloghi vengono presentati in anteprima all’arma dei Carabinieri e vengono verificati anche attraverso dei registri internazionali. Altro aspetto fondamentale è quello che riguarda lo stato di conservazione delle opere, perché è determinante e fondamentale nella composizione del prezzo. Questi aspetti vengono anche studiati tramite il condition report, stilato col supporto di tecnici specializzati per verificare le effettive condizioni dell’opera, che spesso non sono visibili a occhio nudo (quali restauri) e che ne raccontano la storia”.
Fatte le dovute verifiche si passa alla redazione del contratto di compravendita all’interno del quale è bene inserire le garanzie del venditore circa l’autenticità dell’opera, le dichiarazioni di esserne l’unico e legittimo proprietario e che l’opera è libera da vincoli.
Annapaola Negri Clementi: “E’ molto importante stipulare un contratto di compravendita, quindi andare oltre a quello che una volta era la semplice emissione della fattura. La redazione del contratto di compravendita è importante perché nel contratto noi possiamo inserire – come venditore – una garanzia di autenticità del bene e, solo se questa garanzia è espressamente pattuita tra le parti, avremo a disposizione un certo rimedio giuridico da parte dell’ordinamento. Ovvero, la risoluzione del contratto per grave inadempimento, un’azione che ha un termine di prescrizione di 10 anni dalla data di consegna del bene e consente un risarcimento del danno particolarmente ampio: sia il rimborso di quanto effettivamente si è speso come prezzo e come spese di consulenza, sia la restituzione del lucro cessante, il valore che quell’opera avrebbe potuto ottenere se fosse stata autentica”.
Una volta che l’opera d’arte entra in una collezione, è interessante capire quando e perché ne esce. Gli anglosassoni sostengono che ciò che spinge la circolazione del patrimonio collezionistico non è tanto la volontà di realizzare profitto. Ma Debt, Death and Divorce, quelle che gli inglesi chiamano le tre D. Anche il comportamento dei collezionisti del nostro Paese conferma questo detto: in Italia infatti, le collezioni circolano più per trasmissione all’interno della famiglia che per compravendita. È quindi importante conoscere qual è il trattamento fiscale del trasferimento delle collezioni in caso di successione.
Marco Paracchi: “In termini generali, la base imponibile delle imposte di successione e donazione è il valore venale in comune commercio del singolo cespite. Tuttavia, ci sono due casi particolari di esenzione: uno è quello dei beni vincolati ai sensi della legge 1089 del 1939, che prevede anche un periodo di recapture se i bene sono ceduti entro 5 anni; l’altro caso di esenzione è quello del trasferimento a favore di fondazioni a condizione che i beni siano utilizzati per lo svolgimento dell’attività statutaria prevista dal fondatore”.
La norma fiscale prevede però un’altra regola che è importante ricordare: i gioielli e la mobilia, e le opere d’arte in generale, che si trovano a ornamento delle abitazioni del de cuius non sono tassati in modo analitico. Infatti è prevista la loro tassazione tramite una maggiorazione dell’attivo ereditario di un importo pari al 10% del valore globale netto imponibile, qualunque sia il valore effettivo dei beni. È possibile comunque produrre un inventario analitico per vincere la presunzione e dichiarare un valore inferiore.
Quando serve l’inventario in caso successione?
Marco Paracchi: “In Italia la trasmissione delle collezioni d’arte avviene soprattutto attraverso il passaggio generazionale. Di conseguenza, l’inventario è un elemento molto utile per determinare il costo d’acquisto delle opere ed evitare inutili e lunghi contenziosi, ma anche per superare la presunzione di inclusione nell’attivo ereditario pari al 10% di denaro, gioielli e mobilia. Tuttavia, va sottolineato che l’esistenza dell’inventario non impedisce all’amministrazione finanziaria di provare l’esistenza di altri beni non vincolati”.
Ad altri tipi di imposte bisogna porre attenzione quando l’opera diventa oggetto di compravendita, ma in questo caso il quadro non presenta una disciplina fiscale specifica. Questo aspetto genera incertezza negli operatori e ha dato luogo a un contenzioso importante. Infatti, la vendita di un’opera d’arte può dare luogo a una plusvalenza. Di conseguenza, spesso i clienti si domandano se questa plusvalenza rappresenti una categoria reddituale soggetta a una qualche tassazione. La risposta è che è ancora difficile darne una qualifica netta poiché, in base alle diverse interpretazioni, può rappresentare un’attività commerciale occasionale, generare un vero e proprio reddito di impresa, o infine risultare non imponibile qualora non sussistano i presupposti per considerarla commerciale.
Quando l’arte diventa speculativa da un punto di vista fiscale?
Marco Paracchi: “Gli elementi che sono stati individuati dalla giurisprudenza e dalla dottrina per effettuare questa distinzione sono il numero e la frequenza del transazioni effettuate, la durata del possesso dell’opera, lo scopo dell’ acquisto dell’opera, e il valore economico della stessa”.
Parlando di valore economico si entra in un terreno diverso da quello in cui siamo abituati a operare come investitori nei mercati finanziari. Il mercato delle opere d’arte è sicuramente molto meno trasparente e liquido: il valore dei beni è influenzato da diversi fattori che è bene conoscere prima di fare un acquisto o approcciare una vendita di successo.
Quali fattori incidono sui risultati in asta?
Alessandro Cuomo: “La valutazione è solitamente espressa attraverso una forbice di stima che interpreta una strategia per la vendita di ogni singolo bene, che può creare anche degli effetti competitivi quando si mettono delle opere con dei prezzi accattivanti. Questo potremmo definirlo il ‘cosa’. Altro aspetto determinante è il ‘dove’: ogni mercato di riferimento ha caratteristiche diverse. Di conseguenza, è importante interpretare al meglio la vendita e il mercato giusto per ogni singolo bene, ma anche il tipo di promozione che permette di superare le barriere nazionali che, attraverso internet e le piattaforme, ci permettono di vendere le opere anche in Paesi fino a poco tempo fa inaccessibili. Anche il ‘quando’ è un altro aspetto fondamentale perché la concomitanza con eventuali momenti di riqualificazione del lavoro di un singolo artista (come il momento in cui sono in corso esposizione pubbliche o ricorrenze ) può determinare l’interesse dei collezionisti creando dei veri e propri fenomeni di moda, che cambiano le condizioni di mercato e determinano risultati talvolta inaspettati”.
Il Mercato di riferimento dunque spesso detta il successo della vendita di un bene: aumenta oggi la competizione tra Paesi anche grazie a piattaforme online. Ma qual è la situazione del nostro Paese? L’incertezza normativa sulle imposte applicabile alle plusvalenze è una componente che penalizza l’investitore italiano così come le restrizioni dovute alle leggi sull’esportazione di opere d’arte, cui consegue una burocrazia a volte limitante. Anche la normativa Iva rappresenta un limite per lo sviluppo del mercato dell’arte nel nostro Paese: il collezionista che voglia importare un’opera nel territorio dell’Unione potrebbe essere disincentivato dallo scegliere l’Italia come destinazione.
Marco Paracchi: “Un altro aspetto penalizzante del mercato dell’arte italiano è sicuramente l’aliquota Iva prevista per le importazioni. Infatti, è stata stabilita al 10% ed è scarsamente competitiva rispetto agli altri paesi europei, dove si assesta più o meno al 5-7%. Era stata prevista una riduzione Italia aliquota al 5% nella Legge di bilancio 2018, ma non c’è stata l’approvazione finale”.