Sono maturi. Alcuni anche anziani. Qualcuno veste all’antica, altri informale. Attraversano i salottini del private banking o del wealth management con disinvoltura, sono di casa in quei luoghi. Sia in quelli modernisti in acciaio e vetro, che in quelli storici, arredati all’antica, con i quadri del ‘600 a decorare i migliori uffici, per i migliori clienti.
Sono i clienti del wealth management oggi. I baby boomer, che hanno avuto fortuna condita con una buona dose di talento e capacità. Sembrano, se non uguali, almeno simili ai clienti del wealth management di ieri. Ma non sono più gli stessi. Dietro quelle rughe si nascondono infatti gli innovatori del XX e del XXI secolo. Un’affermazione forte, ma non priva di verità: questa generazione ha creato la rivoluzione dei costumi fra i ‘60 ed i ‘70 e ha partecipato a pieno titolo alla rivoluzione dei consumi (gli anni ‘80 dell’edonismo di massa).
Sempre loro sono stati protagonisti della prima rivoluzione elettronica (l’introduzione del mobile, del pc, poi del tablet, poi dello smartphone…) ma anche di quella finanziaria: la fine dei bot people, le privatizzazioni, la new economy e poi la scoperta del risparmio gestito. Non si sono tirati indietro nemmeno di fronte alla rivoluzione digitale: la scoperta di internet, i primi vagiti del web, la scoperta del banking online e del trading online. E nei tempi recenti hanno affrontato la competizione (amichevole) con i propri figli, nati digitali e certo innovatori: i social, Whatsapp, le app di messaggi, per non parlare della tecnologia in casa, in auto o sul lavoro. Insomma, un segmento di popolazione, maturato negli ultimi 50 anni e programmato per adattarsi geneticamente al cambiamento del proprio ambiente.
In questo quadro di attenzione alla modernità da parte del core target del wealth management oggi, la tecnologia ha un ruolo importante, anche maggiore di quanto non si creda. Il luogo comune di clienti maturi attenti solo alla relazione ha un fondamento (la relazione è importante) ma non riesce a soddisfare tutte le attese, come mostra peraltro il dato della survey Ey sulle priorità del wealth management nel 2019.
Relazione sì, ma anche tanta efficienza, personalizzazione e qualità: la tecnologia non è in questo un elemento marginale. Quale tecnologia? Innanzi tutto, una tecnologia facile. Non necessariamente per incapacità (i nostri “private boomer” gestiscono bene le complessità tecnico linguistiche di un sistema di home banking; detto fra di noi: ben pochi rappresentanti della generazione Z sono alla loro altezza); piuttosto per scelta. Non vogliono perdere tempo: la tecnologia deve essere di aiuto, se complica la vita, non serve. Le donne? ancora più talebane in questo.
Anche la pratica “tech” è solida: ad esempio il web fino ai 70 anni – e oltre i 75 quando parliamo dell’élite professionale della categoria – ha tassi di penetrazione non distanti dalla media della popolazione (due su tre per intenderci). La tecnologia aiuta a risparmiare tempo. Altro che osservare cantieri. Sono proprio questi gentili signori maturi ad avere il senso del tempo e del suo valore: non possono aspettare. La tecnologia deve servire per migliorare, oggi, la qualità della propria vita. Tecnologia per “decomplessificare” la vita, ad esempio: la preselezione di eventi importanti e di interesse, nel campo dell’informazione, nel campo del tempo libero, in viaggio, o in quello della salute, al polso, ovunque. Senza dimenticare la tecnologia in aiuto delle piccole inabilità del segmento maturo: una capacità di concentrazione più focalizzata (no ad approcci tecnologici abilitanti a troppe funzioni contemporaneamente; una vista con qualche diottria in meno: non a caso la pratica sulle cose importanti avvengono su pc e non su smartphone, che pure è sempre alla portata. Il controllo visuale (e cognitivo) sulle azioni che contano è più importante della mobilità, per loro.
La tecnologia deve migliorare anche la vita finanziaria. Facilitare la vita vuol dire molte cose, anche non banali, per banche abituate a pensare i sistemi sui propri processi: gli home banking attuali, creati per gestire forme tecniche bancarie a distanza. Qui la tecnologia sarebbe al servizio di una nuova “ergonomia dei sistemi”: linguaggi ed approcci human, non centrati (solo) sui processi dell’industria. Magari con una maggior integrazione fra tecnologie diverse: quelle di relazione (consulente) quelle in autonomia, l’home banking e simili. Anche nella gestione dei portafogli, area sulla quale la tecnologia è molto avanti, i nostri vispi “private boomer” hanno consigli da dare. I sistemi bancari hanno sviluppato molti tool usati nelle pratiche di consulenza, ad esempio in materia di analisi del portafoglio. Tuttavia, alcuni sistemi sono ancora abbastanza primitivi, solo alcune realtà sembrano aver raggiunto livelli adeguati. Pensiamo alla gestione integrata dei flussi cedolari, quando provengono da asset class diverse. Questi flussi spesso non personalizzati ed indirizzati verso specifici bisogni: “Con questo flusso pagheremo le spese del college, con quest’altro le vacanze, e quest’altro ancora le coperture assicurative”. In quante realtà del nostro wealth management la tecnologia ha già raggiunto un livello di evoluzione, semplicità ed efficacia al servizio degli umani? Crediamo ancora poche, certamente di gran pregio. I nostri “private boomer” sono un target abbastanza fedele e non orientato all’avventurismo. Cambiare consulente e banca è una decisione che non si prende in base all’offerta di un simpatico gadget tecnologico. Ma si aspettano sistemi evoluti e consulenti evoluti, talvolta anche sopra il livello attuale delle competenze di un bravo banker. I nostri “primate boomer” si aspettano anche processi efficienti e non troppo costosi.
Non illudiamoci che il tema del valore, del prezzo e dell’efficienza non sia nella loro testa. È presente nei più evoluti e crescerà. Non sottovalutateli. Questi clienti sanno scegliere e cambiare banca se le loro attese non sono soddisfatte. Ce lo conferma la già citata Global survey wealth management di Ey: il loro tasso di switch della banca private negli ultimi tre anni è vicino a quello della generazione Z (e più alto di quello dei millennial). Che siano loro – come dichiara una recente ricerca di Havas sul target senior – i “nuovi millennial”?