Gli investitori italiani sono, a livello globale, i meno aperti ad utilizzare canali digitali per la gestione del proprio denaro e quelli che con maggior frequenza fanno riferimento a un unico fornitore di servizi di gestione patrimoniale.
Allo stesso tempo, gli italiani sono anche gli investitori che affiancati con maggior frequenza da un professionista del risparmio. Gli investitori italiani, inoltre, si dicono propensi a investire meno denaro nel 2024 rispetto all’anno scorso, in linea con quanto osservato negli altri Paesi a causa di un reddito disponibile giudicato meno cospicuo da destinare a questa attività. Sono alcune delle evidenze di una nuova ricerca condotta da Amundi in 11 Paesi fra Europa e Asia, che ha coinvolto 4.186 investitori retail di età compresa tra i 21 e i 60 anni.
Diminuisce la propensione a investire
In Italia il 22% degli investitori al dettaglio afferma che investirà meno denaro nel 2024 rispetto all’anno scorso, contro il 17% che prevede un incremento degli investimenti. In proporzione, il dato italiano è in linea con quello globale nelle quali le percentuali sono distribuite con un rapporto 25%-30%, con una minore percentuale di investitori che manterrà invariati i propri investimenti. Se si osserva una minore propensione a investire quest’anno è soprattutto per la “preoccupazione di una recessione economica e per l’aumento del costo della vita”, si legge nel rapporto, “il 45% di coloro che prevedono di investire meno ha citato la riduzione del reddito disponibile come motivo”, percentuale che sale al 47% fra gli intervistati in Italia.
Investitori italiani, i meno digitali e i più seguiti da un consulente
In Italia, il 57% degli investitori al dettaglio ricorre esclusivamente a canali d’investimento fisici (“analogici” secondo la terminologia della ricerca) la percentuale più elevata riscontrata fra i Paesi presi in esame, assieme a quella francese (55%). Gli investitori solo digitali, in Italia, sono meno di 2 su 10, mentre è leggermente superiore la quota degli investitori “ibridi”, che fanno uso di entrambi i canali. A livello globale, il canale fisico è quello più rilevante soprattutto per i piccoli patrimoni sotto i 20mila euro (vi ricorre il 41%), mentre salendo oltre i 150mila euro prevale l’approccio ibrido che unisce digitale e analogico (50%).
L’Italia è prima anche in termini di investitori che hanno rapporti con un solo fornitore di servizi d’investimento: è il 43% degli intervistati, contro una media globale del 29%.
Sembra di scorgere un filo logico ad unire la minor fiducia dell’investimento puramente digitale degli italiani e il loro maggior affiancamento a figure professionali: il 61% degli investitori in Italia è seguito da un consulente finanziario, la percentuale più alta fra gli 11 Paesi inclusi nella ricerca, davanti a Francia e Svizzera. Sul versante opposto, invece, si trovano Svezia, Danimarca e Regno Unito, in cui meno di 4 investitori su 10 è seguito da un professionista.
A livello globale, solo 1 investitore esclusivamente digitale su 4 ha anche un consulente finanziario, mentre oltre la metà degli investitori analogici si avvale di un consulente, così come gli investitori ibridi.
Circa un investitore digitale su tre, inoltre, era seguito da un consulente in passato, ma ora non lo è più.
Essere esclusivamente digitali nell’approccio all’investimento, dunque, va di pari passo con un minor ricorso a figure professionali. Ma non è tutto: anche la composizione dei portafogli cambia in modo molto evidente.
A livello globale, chi investe con approccio interamente digitale cita come principali prodotti, nell’ordine, singoli titoli finanziari, criptovalute ed Etf/strumenti passivi. La preferenza per gli investimenti passivi viene mantenuta anche fra gli investitori ibridi, mentre gli analogici hanno un maggior numero di fondi gestiti attivamente in portafoglio. Questa preferenza coerente con la struttura di remunerazione della consulenza finanziaria più comune, che viene integrata ai costi ricorrenti dei fondi attivi (mentre i fondi passivi sono la scelta d’elezione per la consulenza pagata a parcella direttamente dal cliente).
“La proprietà di tutte le forme di investimento è più elevata tra gli investitori ibridi rispetto a quanto avviene tra gli investitori esclusivamente digitali e quelli totalmente analogici, dimostrando che questo gruppo è probabilmente più diversificato sia rispetto agli investitori solo digitali che a quelli totalmente analogici”, hanno affermato gli autori.
Consulente, fonte cruciale per il canale “fisico”
A livello globale, gli investitori analogici citano proprio il consulente finanziario come la principale fonte di informazione, qualora si fosse interessati a investire una somma pari a una mensilità (30%), mentre per gli investitori digitali prevale il sito web della banca (27%).
Gli investitori italiani, in particolare, sono i meno propensi a cercare informazioni operative su come investire sui social media: lo fa appena il 2% degli intervistati contro una media globale dell’8%. Tuttavia, “i social media sono il principale mezzo utilizzato dagli investitori per rimanere informati sulle notizie e sui media”, si legge nella ricerca, inoltre, “l’aver visto una raccomandazione sui social media è stato il terzo maggiore motivatore di consapevolezza per la loro app/tool di investimento principale (28%), rendendo i social media una piattaforma robusta per i brand e la funzionalità degli strumenti quando si comunica con gli investitori, il che non dovrebbe essere trascurato”. In termini di influenza sulle decisioni di investimento, Youtube risulta il social più importante, davanti, rispettivamente a Instagram e Facebook (molto indietro LinkedIn, preceduto da X e TikTok).