Crollo Svb: le conseguenze sulle altre banche (e sui mercati)

Tutti i depositi della Silicon Valley Bank e di Signature Bank, anche quelli al di sopra della soglia garantita di 250mila dollari, saranno protetti e rimborsati al 100% in deroga alle normative vigenti
Nonostante l'impegno delle Autorità Usa al rimborso completo dei correntisti di SVB e Signature, “nessuna perdita [bancaria] sarà pagata dai contribuenti”, ha dichiarato il presidente Joe Biden
Le crisi di Silicon Valley Bank (SVB) e Signature Bank, nonostante la garanzia totale dei depositi riconosciuta dalle autorità statunitensi per minimizzare una pericolosa propagazione del panico, hanno trasmesso agli investitori la sensazione che anche altre banche regionali potrebbero subire una fatale corsa agli sportelli. Tutti i depositi della Silicon Valley Bank e di Signature Bank, anche quelli al di sopra della soglia garantita di 250mila dollari, saranno protetti e rimborsati al 100% in deroga alle normative vigenti, hanno comunicato la Fed, il Tesoro Usa e la Federal deposit insurance corporation (Fdic).
Non solo, la Fed ha annunciato l'istituzione di una linea di credito che permetterà alle banche di ricevere liquidità offrendo come collaterale i Treasuries,e Mbs al loro prezzo di libro (book value), non di mercato. Questo permetterà di contenere le perdite teoriche sul portafoglio obbligazionario delle banche seguite all'aumento dei tassi (prezzi dei bond e ralativi rendimenti si muovono inversamente). La nuova linea di credito, ha fatto sapere la Fed, sarà molto grande e permetterà potenzialmente di coprire tutti i depositi non garantiti del sistema bancario, ossia quelli al di sopra dei 250mila dollari.
Le potenti contromosse adottate dalle Autorità federali Usa dimostrano il riconoscimento degli elevati rischi che deriverebbero dall'eventuale trasmissione del panico sulla solidità delle banche. Questa potrebbe trasformarsi in una corsa agli sportelli e in una crisi bancaria di grandi proporzioni. Da qui l'esigenza di garantire ogni centesimo dei depositi delle banche finora coinvolte.
Nonostante l'impegno delle Autorità Usa al rimborso completo dei correntisti di SVB e Signature, “nessuna perdita [bancaria] sarà pagata dai contribuenti”, ha dichiarato il presidente Joe Biden lunedì 13 marzo, distinguendo la protezione dei depositanti da salvataggio bancario vero e proprio. L'altro messaggio lanciato da Biden ha invece cercato di rassicurare gli animi: “Potete avere fiducia nel fatto che il sistema bancario e è sicuro, i vostri depositi ci saranno quando ne avrete bisogno”.
Wall Street in seguito alle misure di contenimento annunciate da Fed, Fdic e Tesoro Usa ha aperto la seduta di lunedì senza aggravare le perdite già subite lunedì scorso. Al di là dell'S&P 500, però, alcune banche potenzialmente vulnerabili alla corsa agli sportelli sono state ipervendute dagli investitori: "First Republic Bank mostra un calo del 75% del proprio valore, Western Alliance Bancorp del 80%, PacWest Bancorp del 54%, East West Bancorp del 40% e Zions Bancorporation del 32%", ha sottolineato il senior market strategist di IG Italia, Filippo Diodovich.
La Borsa italiana ha scontato nella prima seduta settimanale i timori di una possibile crisi di fiducia sulle banche, con forti vendite sul settore: l'indice settoriale Ftse Italia Banche, è in calo del 7%, con perdite che superano il 9% per Fineco, Banco Bpm, Unicredit e Bper. "Siamo in una situazione di flight to quality dove si vendono azioni di banche per spostarsi su bond", ha affermato Diodovich, "nelle ultime 3 sedute il bond governativo statunitense (treasury) con scadenza a 2 anni è passato dal 5% di rendimento al 4,10%. Stesso comportamento anche in Europa con il Btp a due anni che ha mostrato un rendimento in calo dal 3,88% al 3,44%".
“Le banche italiane hanno corretto oggi per i timori che la fuga dei depositi, e la conseguente insolvenza di alcune banche americane, possano avere impatti diretti sul sistema finanziario europeo e italiano in particolare”, ha dichiarato a We Wealth Christian Carrese, analista settore bancario di Intermonte, “in realtà le banche italiane presentano indici di liquidità solidi (liquidity coverage ratio e net stable funding ratio ben superiori a 100%), una struttura del funding molto resiliente e impieghi ben inferiori ai depositi complessivi”.
Inoltre, ha aggiunto Carrese, “l’intervento della Fed è stato molto tempestivo e dovrebbe evitare un deterioramento della crisi che, per le sue caratteristiche, sembra molto più circoscritta rispetto a crisi quali Lehman o del debito sovrano”.
Le crisi di SVB, Signature e di Silvergate hanno in comune, alla base, le vulnerabilità prodotte dal rapido aumento dei tassi sul portafoglio di attività. Una situazione che, sottotraccia, riguarda numerosi altri istituti che farebbero fatica a gestire un forte aumento dei prelievi sui loro depositi senza le reti di sicurezza messe in campo dalle Autorità Usa nelle ultime ore.
All'origine della crisi SVB
Per gli standard americani Silicon Valley Bank e Signature Bank non sono considerati attori sistemici, con asset nell'ordine dei 200 e dei 100 miliardi di dollari (paragonabili per dimensione alle italiane Banco Bpm e Bnl). Entrambe si sono ritrovate a dover rimborsare depositi ai loro clienti in una situazione nella quale il portafoglio di attività, investito prevalentemente in titoli di Stato Usa a medio-lungo termine, è in forte perdita per via della massiccia stretta monetaria operata dalla Fed. I titoli del Tesoro Usa sono considerati supersicuri, ma il loro valore oscilla significativamente in base all'andamento dei tassi: in caso di vendita in anticipo sulla scadenza le perdite possono essere anche molto grandi. E' esattamente quello che è accaduto quando, al termine dell'era dei tassi rasoterra si è passati nel giro di qualche mese a tassi di riferimento al 4,75%.
La vulnerabilità nel portafoglio di Silicon Valley Bank è venuta a galla quando i clienti di riferimento si sono trovati, a loro volta, a dover fare i conti con un nuovo contesto di politica monetaria sfavorevole al loro business. La drastica riduzione degli investimenti nel settore delle startup tecnologiche, le principali clienti della Silicon Valley Bank, ha obbligato queste imprese a recuperare la liquidità necessaria per il pagamento delle proprie spese e a incrementare i prelievi dei loro depositi. Per liquidare queste richieste, la banca ha dovuto vendere in perdita obbligazioni in portafoglio: quando la notizia di queste operazioni è stata comunicata ai clienti si è diffuso il timore di un possibile fallimento. I fondi di venture capital, di conseguenza, hanno intimato le società nel loro portafoglio a prelevare quanto prima i propri depositi dalla SVB, con il risultato di aumentare il volume delle perdite sul portafoglio obbligazionario dell'istituto a 1,8 miliardi di dollari.
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La pressione verso una Fed più morbida
“Le decisioni di Fed, Tesoro Usa e Fdic hanno prontamente arrestato il potenziale rischio di fuga dei depositi da banche non sistemiche a sistemiche, il che avrebbe posto il rischio di grosse difficoltà per l'intero mondo delle banche non sistemiche, ossia quelle con attivo totale sotto i 250 miliardi di dollari”, ha commentato il chief global strategist di Intermonte, Antonio Cesarano, “dopo lo scampato pericolo è verosimile ipotizzare che le banche regionali e non solo restringeranno ancora di più l'ammontare di credito ed i criteri con cui lo concedono in chiave difensiva, fenomeno già in atto da diversi mesi che rappresenta uno dei fattori che sotto traccia i bond considerano nel definire la pendenza di curva”. Si tratta di elementi che, secondo Cesarano “aumentano considerevolmente la probabilità di recessione non mite dell'economia Usa nel secondo semestre se non già nel corso del secondo trimestre”.
Secondo Goldman Sachs le conseguenze della vicenda SVB, che ha molto a che vedere con la stretta monetaria adottata dalla Fed potrebbe incoraggiare Jerome Powell e colleghi a rimandare l'aumento dei tassi che sarebbe stato altrimenti scontato per la riunione di marzo. "Alla luce delle recenti tensioni nel sistema bancario, non ci aspettiamo più che il Fomc effettui un rialzo dei tassi nella riunione del 22 marzo, con una notevole incertezza sul percorso da seguire oltre marzo", hanno dichiarato gli analisti di Goldman in una nota inviata ai clienti domenica 12 marzo, "abbiamo lasciato invariata la nostra aspettativa che il Fomc effettui rialzi di 25 punti base a maggio, giugno e luglio e ora ci aspettiamo un tasso terminale del 5,25-5,5%, anche se vediamo una notevole incertezza sul percorso".
Anche Cesarano ritiene che “in questo contesto i mercati probabilmente tenderanno a forzare la mano alle banche centrali, Fed in testa, affinché fermino le manovre restrittive e le invertano presto, generando un marcato steepening in contesto di calo dei tassi più pronunciato sul segmento a breve termine”.
Scontando un percorso meno restrittivo della Fed il dollaro si è indebolito sull'euro dello 0,77% a 1.0724 il 13 marzo.