Pianificare i portafogli dei clienti sulla base dei loro obiettivi di spesa può diventare uno degli approcci distintivi del private banking, elevandolo ulteriormente dalla media dei servizi di consulenza. Quello “goal based” è un approccio più vicino alla vita vera dei risparmiatori, di quanto non lo sia stimare un profilo di rischio e costruirci attorno un’asset allocation. Pianificare per obiettivi significa integrare orizzonti temporali differenziati, ma anche declinare le regole di profilazione in modo veramente efficace. Perché, alla prova dei fatti, i soldi devono essere pronti a entrare in azione quando servono. L’Associazione italiana del private banking (Aipb), è convinta che il settore debba evolvere gradualmente in questa direzione, vincendo resistenze interne ed esterne. Ne abbiamo parlato, a margine del Salone del Risparmio 2025, con Antonella Massari, segretario generale di Aipb.
Dottoressa Massari, partiamo da un dato interessante emerso nel vostro recente sondaggio: oltre il 70% degli operatori del private banking vede il goal-based investing come un’opportunità anche per migliorare la redditività. Eppure, nella pratica, si fatica a implementarlo. Perché?
Perché il goal-based investing cambia la logica: non si punta più solo alla performance, ma al raggiungimento degli obiettivi concreti del cliente. Questo richiede un cambio di mentalità, soprattutto per i consulenti. È necessario distinguere tra obiettivi vicini e lontani nel tempo, e questo complica i processi consolidati. Il consulente deve aiutare il cliente a identificare i suoi obiettivi, anche quelli che spesso non sono così chiari. Un esempio? Garantire lo stesso tenore di vita anche durante la pensione, che sarà sempre più lunga.
Una volta chiariti questi obiettivi, come cambia l’allocazione del portafoglio?
Cambia molto. Ad esempio, per i clienti giovani, il goal-based investing suggerisce un’esposizione maggiore all’azionario rispetto all’obbligazionario. Questo perché nel lungo periodo l’azionario storicamente garantisce rendimenti migliori. In sintesi, l’orizzonte si sposta: l’investimento diventa uno strumento per raggiungere obiettivi futuri, e non solo per ottenere il massimo rendimento compatibile con la propensione al rischio.
Questo approccio però si scontra con le attuali normative, a partire dalla Mifid. È così?
Sì, uno dei problemi principali è che l’attuale applicazione della Mifid – in particolare gli algoritmi di adeguatezza – spesso impedisce strategie coerenti con il goal-based investing. Ad esempio, un sessantacinquenne oggi non può investire il 50% del suo portafoglio in azioni, anche se l’obiettivo è lasciare un’eredità. Gli algoritmi sono costruiti con un orizzonte temporale standard, cioè la vita dell’investitore, e non considerano obiettivi multiformi o successivi alla vita del titolare.
C’è spazio per modificare questi algoritmi, o serve un intervento a livello europeo?
Entrambe le cose. Da un lato, gli operatori possono già adattare gli algoritmi, perché la normativa lascia qualche margine. Ma è anche vero che alcuni vincoli strutturali restano. Un esempio emblematico è quello degli Eltif, pensati proprio per i clienti retail e con orizzonte lungo: oggi, per un cliente italiano, è molto difficile accedervi. Ecco perché qualcosa a livello europeo si potrebbe fare. Ma anche il legislatore nazionale deve distinguere tra clienti con diversa capacità patrimoniale e tolleranza al rischio.
Esistono resistenze anche da parte dei consulenti verso il passaggio al goal-based?
Sì. Molti consulenti ci dicono che è difficile spiegare gli orizzonti temporali lunghi ai clienti. E ancor più difficile è collocare strumenti di lungo periodo, perché implicano una complessità maggiore. Per questo con Aipb puntiamo molto sulla formazione. Un altro passaggio utile è abbinare il goal-based investing a strumenti di protezione, come le polizze assicurative, che liberano liquidità e rassicurano il cliente. Così si rende più accettabile l’investimento di lungo termine.
Il goal-based investing prevede portafogli distinti per ciascun obiettivo. Innegabile che questo rischi di complicare tutto il processo…
Sì, questa è una delle difficoltà pratiche. Nello studio che abbiamo condotto, abbiamo confrontato due opzioni: creare un portafoglio per ogni obiettivo, oppure un portafoglio unico sezionato in base ai diversi obiettivi. La seconda opzione è più semplice da gestire, anche dal punto di vista tecnologico. Ma attenzione: gli obiettivi cambiano nel tempo, e anche gli algoritmi di adeguatezza dovrebbero adattarsi con più frequenza.
Aipb ha approfondito molto il tema dell’allungamento della vita media nella pianificazione finanziaria: quanto incide davvero?
Tantissimo. Ma il tema va affrontato con i clienti giovani, non solo con chi è vicino alla pensione.
Se, come ha ricordato il Presidente in plenaria, nel 2030 la prima pensione sarà pari solo al 46% dell’ultima retribuzione, serve consapevolezza oggi. Solo il 9% degli italiani è consapevole di questo dato. E i governi – diciamolo – non hanno interesse a diffonderlo troppo.
I critici temono che la longevità possa convertirsi in mero pitch commerciale, per spingere prodotti pensionistici?
Capisco la perplessità, ma non è solo un discorso commerciale. È un cambiamento culturale.
I giovani oggi danno priorità a consumi immediati, come viaggi e aperitivi. Però se vuoi costruire un futuro, qualcosa devi sacrificare. Un possibile primo passo? Che siano i genitori o i nonni ad aprire piani di risparmio per i figli o nipoti. È un modo per seminare il concetto.
La Commissione europea, con la Savings and Investments Union recentemente presentata, come si colloca rispetto a questo scenario?
La Siu cita espressamente l’integrazione pensionistica tra i suoi obiettivi. In alcuni Paesi europei questo processo è più avanzato, ma in Italia persiste l’idea che “ci penserà lo Stato”. Il problema è anche come vengono investiti i contributi: spesso i fondi pensione non riescono a pianificare con un orizzonte adeguatamente lungo. La Siu potrebbe dare un impulso, anche se – come sempre – sarà poi la collaborazione tra finanza e assicurazioni a fare la differenza. E oggi vediamo un’integrazione crescente tra questi mondi.