Il 71% dei dirigenti finanziari intervistati in tutta Europa pone i casi d’uso relativi alla compliance normativa in cima alla lista dei propri investimenti
Inoltre alcune istituzioni finanziarie stanno anche guardando oltre la compliance per capire come migliorare la customer experience
Al contempo, alcune istituzioni finanziarie stanno anche guardando oltre la compliance per capire come migliorare la customer experience, con il 36% che investe in servizi di gestione finanziaria, il 35% nell’automazione dei processi di onboarding ed il 33% in applicazioni multi-banking.
Differente la situazione italiana, che a quanto pare vede già oltre la compliance normativa, se non fosse per l’interesse nell’automazione dei processi Kyc che conquista il terzo posto del podio (46,7%). I servizi su cui maggiormente si concentrano gli investimenti italiani sono legati al miglioramento della customer experience ed in dettaglio ai servizi di gestione finanziaria (53,3%), seguiti a ruota da quelli di payment initiation (50%).
È interessante notare come i servizi di payment initiation rappresentino la seconda maggiore area di investimento in Italia, a differenza della media europea che li vede solo settimi. Sintomo che le istituzioni finanziarie locali hanno grandi aspettative a riguardo, da un lato per via delle tante iniziative volte a contrastare il diffuso utilizzo del contante nei pagamenti, come ad esempio quello della fatturazione elettronica per imprese e partite Iva, dall’altro per la concreta possibilità di risparmiare denaro attraverso le soluzioni di payment initiation rispetto agli altri metodi di pagamento digitale disponibili.
In conclusione, le percentuali italiane fanno capire come nel Bel Paese ci sia una maggiore competizione tra attori che vogliono offrire la migliore esperienza digitale al proprio cliente. In effetti, la gestione finanziaria personale (Pfm) è un elemento essenziale per la banca digitale ed ha spinto anche le istituzioni finanziarie tradizionali a fare investimenti significativi a riguardo per non rimanere indietro e soddisfare le aspettative dei clienti.
I dati di Tink rivelano anche che la motivazione a investire in un caso d’uso o in un altro dipende in gran parte dall’esposizione di un’azienda alle normative ma anche dalla natura della propria attività. Le dimensioni e la maturità di un’azienda sono fattori determinanti per l’area di investimento, con istituzioni più grandi come le banche tradizionali (57%) e le società di wealth management (53%) che indicano come principale settore in cui investire quello dei servizi di identità digitale.
Al contempo, le “nuove banche” (challenger banks) e i prestatori di servizi di pagamento (Psp) sono gli unici due segmenti in cui un caso d’uso non legato alla compliance è classificato come la principale area di investimento – con le challenger banks che danno la priorità all’automazione dell’onboarding (44%) e i Psp che investono in servizi multi-banking (47%). Ciò non dovrebbe sorprendere considerando che una delle principali differenze tra le nuove banche e gli istituti tradizionali risiede proprio nell’esperienza di onboarding.
“Considerato che la maggior parte delle banche ha ancora tanta strada da fare per raggiungere la compliance, è comprensibile che molte istituzioni finanziarie continuino a concentrarsi su quest’area di investimento, ma siamo anche felici di constatare come in Italia si sia passati ad uno step successivo, quello per cui – prima di tutto il resto – arriva l’esperienza da assicurare al cliente. L’Italia ha già compreso come, complice il Covid che accelera il passaggio ai canali digitali, le istituzioni finanziarie abbiano l’opportunità unica di ottimizzare l’acquisizione e la fedeltà del cliente, migliorandone ulteriormente la sua esperienza. Guardando oltre la compliance normativa e investendo in casi d’uso di open banking che supportano la customer experience, gli istituti tradizionali potranno stare al passo con i loro principali competitor, come challenger banks e PSP”, commenta Marie Johansson, Country Manager di Tink in Italia