Collaborazione con le fintech priorità assoluta per le reti

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Circa quattro operatori su cinque hanno nei loro piani strategici la volontà di espandere la propria capacità di lavorare con le fintech. Intervista a Manuel Pincetti, partner monitor di Deloitte, che spiega qual è l’impatto della Digital Disruption sull’industria del wealth management.

Qual è l’impatto della Digital Disruption sull’industria del wealth management?

“Da un lato il modello di offerta, di servizio e la distribuzione dei prodotti finanziari, dall’altro gli aspetti operativi riguardanti il modello di business dell’industria, e infine il ripensamento della catena del valore. Qualche elemento su questi tre trend. Innanzitutto, le abitudini dei consumatori fanno sì che si aspettino di portare l’esperienza che hanno di consumo digitale nei servizi in generale anche all’interno del mondo finanziario. Di conseguenza, non è un caso che in Italia stiano nascendo le cosiddette challenger bank e una serie di operatori fintech che hanno acquisito un buon numero di utilizzatori negli ultimi anni. Si pensi che i salvadanai interamente online oggi in Italia hanno attirato circa 250mila utilizzatori”.

Aspetti operativi

“Con riferimento al modello operativo, il modello di funzionamento, sono tre gli ambiti di principale sviluppo. Da un lato, l’introduzione di strumenti digitali a supporto delle reti di vendita per semplificare la vita e la proposizione dei prodotti ai clienti e avere degli strumenti di marketing intelligence che non sono mai stati negli anni fiore all’occhiello del private banking e del settore del wealth management in generale. Secondo, la generazione di insighter attraverso l’utilizzo e l’integrazione dei dati dove oggi la tecnologia e le evoluzioni normative ci consentono di poter avere una vista del cliente più ampia e creare delle proposizioni più mirate. E, infine, un’apertura dei modelli di business a servire i propri clienti non unicamente attraverso le proprie capabilities ma anche ricorrendo a partnership con operatori fintech. Proprio quest’ultimo punto di partnership con operatori fintech o, più in generale, di allargamento della platea di operatori attraverso le quali le banche possono soddisfare i bisogni di banking dei propri clienti, ci porta alla considerazione relativa al ripensamento della catena del valore”.

Catena del valore

“Oggi in Italia, se è vero che il fenomeno fintech è in rapida espansione e i numeri di business associati rimangono ancora limitati – pensiamo, ad esempio, al mondo del robo-advisory in cui i portafogli gestiti sono circa 400 milioni di euro di asset under management con un numero di utilizzatori di circa 30mila – in realtà la spinta degli operatori la si vede. Dalle nostre ricerche, circa quattro operatori su cinque hanno nei loro piani strategici la volontà di espandere la loro capacità di lavorare con le fintech. In particolare, questa è la priorità assoluta per le reti di promozione che vedono nella partnership con le fintech un modo per abilitare l’estensione della propria gamma di offerta. In quale modalità? Non una modalità puramente digitale ma integrata al fattore umano, che rimane in Italia predominante rispetto ad altri paesi come gli Stati Uniti o Uk in cui le abitudini di consumo sono molto più opportunistiche e guidate semplicemente da una scelta di costo. Costi che, come sappiamo, con la Mifid2 saranno messi sotto la lente di ingrandimento, ma in cui gli operatori italiani si stanno adeguando e potranno valorizzare la vera capacità di portare consulenza evoluta facendo percepire un servizio a valore aggiunto ai clienti, in cui il fattore umano sarà determinante”.

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