Agricoltura sostenibile, la sfida cruciale dell’Argentina

Le esportazioni agricole sono al centro del mercato emergente argentino, che deve reagire al degrado delle colture intensive e al cambiamento climatico

Fuori dai nostri confini pochi altri Paesi possono dirsi italiani quanto lo è, per le origini dei suoi abitanti, l’Argentina. Si calcola che oggi vi siano circa 25 milioni di discendenti, partiti dalle campagne italiane fra la fine dell’800 e l’inizio del 900. Arrivati nella nuova terra, le caratteristiche dell’Argentina non potevano essere più congeniali al tradizionale lavoro agricolo, che i migranti italiani di allora conoscevano bene. E’ proprio l’Argentina l’ultima protagonista dell’ottava puntata del podcast Mercati Emergenti – In viaggio con Federico Buffa di Pictet Asset Management – con le risorse della sua terra e i metodi innovativi attraverso i quali si sta cercando di raccoglierne i frutti in modo più sostenibile. 

Qualche numero sull’importanza dell’agricoltura per questo Paese. Negli ultimi 25 anni, la superficie agricola dell’Argentina ha visto crescere i suoi terreni agricoli da 15 milioni a 34 milioni di ettari, con un aumento di oltre il 126% della superficie totale destinata all’agricoltura. In termini di valore, è la soia la risorsa più importante, poiché rappresenta da sola il 49% delle esportazioni agricole. Tirando le somme, nel 2018 l’Argentina ha prodotto 109 milioni di tonnellate di cereali; 5,7 milioni di tonnellate di carne (pollame, carne bovina e suina); 10.526 milioni di litri di latte; 1.452 milioni di litri di vino. 

Avendo in mente tutto questo, non c’è da stupirsi se la crescita economica nazionale dipenda, come attesta la Fao, dai prodotti agricoli da esportazione. Il problema, purtroppo, è che questi prodotti sono sempre più esposti ai rischi climatici e al degrado ambientale; in particolare, alla rapida espansione dei sistemi di produzione intensiva di soia. “Sebbene il settore agricolo abbia iniziato a muoversi verso pratiche sostenibili dal punto di vista ambientale, i progressi rimangono lenti”, ha scritto la Fao nel suo report. Ma qualcosa, comunque, si muove.

Uno di questi porta un nome abbastanza oscuro: agricoltura sintropica. Nato in Brasile dall’esperienza del ricercatore svizzero Ernst Götsch, questo approccio prevede la coesistenza di più specie sul terreno, la loro successione ecologica. Grazie all’agricolultura sintropica, ha raccontato Buffa, si riduce fin quasi a eliminarlo l’uso di prodotti agrochimici e si recuperano anche parte dei terreni inariditi o poveri di risorse idriche. 

In questo modo, si è dato un impulso nuovo all’agricoltura famigliare, si sono sostenuti i redditi dei piccoli produttori, stimolati verso colture a miglior valore aggiunto, diverse da quelle dell’agricoltura intensiva. Il ricorso a tecniche di coltivazione sostenibile ha potuto contare negli anni di incentivi economici dedicati, in molti casi finanziati dall’Onu, e sono fioriti progetti specifici volti a convertire una parte delle coltivazioni intensive. In questo modo, ha spiegato Pictet AM, “si sono migliorati i metodi di irrigazione, sperimentati i biofertilizzanti, si è iniziato ad utilizzare droni e macchinari moderni e a svolgere studi genetici per migliorare la resistenza delle specie”.


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