La top5 risulta dominata dal settore dell’energia e delle utility, con ExxonMobil (con un Climate policy footprint pari a -66), Chevron (-65), Toyota Motor (-53), Southern Company (-51) e Sempra Energy (-45)
Toyota Motor ha messo in campo una campagna contro le normative proposte a livello globale per eliminare gradualmente i motori a combustione interna a favore dei veicoli elettrici, ma rientrano nella lista anche Bmw, Daimler e Hyundai
Quanto al settore automobilistico, la sopracitata Toyota Motor ha messo in campo una campagna contro le normative proposte a livello globale per eliminare gradualmente i motori a combustione interna a favore dei veicoli elettrici, ma rientrano nella lista anche Bmw (al 18° posto), Daimler (24°) e Hyundai (25°). Glencore (8°) è una delle poche aziende della top25 la cui Carbon policy footprint risulta legata prevalentemente alla difesa a favore del carbone termico. “L’analisi probabilmente riflette uno spostamento dell’influenza dal carbone al gas, con un aumento delle imprese che concentrano sempre più sul gas naturale le loro attività di lobbying”, precisano i ricercatori. La classifica relativa alle 25 associazioni industriali che maggiormente influenzano negativamente le politiche climatiche vanta infine nelle prime cinque posizioni l’American petroleum institute, l’American fuel & petrochemical manufacturers, la Us Chamber of commerce, la National mining association e BusinessEurope. Complessivamente, 13 delle 25 associazioni considerate rappresentano direttamente i settori dell’energia fossile.
“Una transizione allineata agli Accordi di Parigi verso un futuro di energia pulita rimarrà estremamente impegnativa fino a quando i paesi non intraprenderanno azioni significative per affrontare l’ostruzionismo lobbistico degli interessi acquisiti dai settori della catena del valore dei combustibili fossili”, commenta Edward Collins, direttore di InfluenceMap. “Il copione aziendale per frenare la politica climatica ha fatto molta strada dal negazionismo della scienza, ma è altrettanto dannoso. Il mondo sta iniziando a rendersi conto dell’impatto che le aziende stanno avendo attraverso la loro influenza politica. È giunto il momento che le principali società impegnate in tali pratiche, insieme alle associazioni di settore che le supportano, siano ritenute responsabili di tutto questo”.
Ricordiamo infine che quest’analisi segue un altro rapporto pubblicato nel mese di ottobre sulle aziende che influenzano positivamente le politiche climatiche allineate agli accordi del 2015. Tra queste, si segnalano Unilever, Nestlé, Ikea e Tesla, ma anche alcune attive nei servizi di pubblica utilità focalizzati sulle energie rinnovabili come Iberdrola, Enel, Orsted e Edison International. Il settore delle utility risulta essere anche in questo caso il più attivo, specie in Europa. Al contrario, scarseggiano aziende statunitensi, giapponesi, australiane e canadesi. Secondo InfluenceMap, “il sostegno attivo del settore aziendale europeo” ha dunque “probabilmente amplificato la leadership dell’Unione europea sul clima sin dall’Accordo di Parigi” mentre “l’attività insufficiente o ostruttiva del settore aziendale e dei suoi gruppi industriali frenava le politiche climatiche in gran parte del resto del mondo”.