Sono 79 su 149 le società che oggi non pubblicano alcun tipo di rendicontazione esg, in calo rispetto al 2020 (quando erano 84 su 129)
A riportare l’orientamento alla sostenibilità più avanzato sono il comparto moda, health care, energy & utility, e industria
Sono dunque 79 su 149 le società che ad oggi non pubblicano alcun tipo di rendicontazione, in calo rispetto al 5 ottobre 2020 (quando erano 84 su 129). Le restanti 70 sopracitate, invece, mostrano orientamenti differenti alle tematiche ambientali, sociali e di buona governance: l’orientamento alle pubbliche relazioni (definito come “pr”), contrassegnato da “vaghe dichiarazioni o impegno verso la sostenibilità promossa più che altro come forma di auto-branding”, si legge nel rapporto; l’orientamento alla beneficenza (definito “charity”), in cui le attività di charity non risultano correlate al core business; l’orientamento alla gestione del rischio esg (definito “esg risk”), tipico delle società che divulgano e misurano le informazioni non finanziarie; e infine l’orientamento strategico (definito “esg strategico”), caratteristico di imprese che “integrano gli obiettivi di sostenibilità all’interno della strategia aziendale e del business, puntando a massimizzare il valore economico attraverso un modello di business sostenibile”, spiegano i ricercatori.
“C’è tantissimo da fare e un potenziale enorme da sviluppare”, osserva Marco Ruspi, head of esg di AcomeA. “L’importante è farlo in maniera ben organizzata. Per questo, è necessario un processo di engagement ben selezionato e monitorato nel tempo, che vada a impattare soprattutto sulle società in cui si riesca a ottenere un ritorno. Solo così si potrà arrivare a risultati interessanti, far crescere il mercato, e mettere in moto un circolo virtuoso per attirare investitori, anche internazionali. Crediamo che con l’aiuto di tutte le parti in causa ci possa essere una spinta veramente forte e le società che riusciranno a coglierla e a farla propria potranno solo beneficiarne”, conclude Ruspi.
Dello stesso avviso Luca Tavano, head of product development mid&small cap-primary markets di Borsa Italiana, secondo il quale la chiave per convincere le piccole dell’Aim a intraprendere e accelerare questo cammino è legata al fatto che la sostenibilità non debba “essere vista come un obbligo di compliance ma come un’opportunità strategica per intraprendere un percorso di crescita sostenibile e migliorare il proprio posizionamento competitivo”. Di conseguenza, sono cinque le “lezioni” che a suo parere le pmi possono imparare dalle grandi imprese. Innanzitutto, focalizzarsi sui fattori esg che abbiano un impatto reale sul business e le performance operative; sforzarsi di comunicare e rendicontare in modo facilmente raggiungibile un set minimo di dati quantitativi; individuare una governance della sostenibilità, coinvolgendo board e principali manager; valorizzare le proprie azioni “verdi” senza cadere nella tentazione del greenwashing; e, infine, osservare i propri competitor, i best-in-class, identificando quali sono i bisogni dei diversi stakeholder e, soprattutto, degli investitori finanziari.