Solamente il 19% degli investitori dichiara di possedere prodotti finanziari sostenibili. Solo il 13% si ritiene ben informato, a fronte di un 26% che si riconosce una conoscenza basilare
Ma cos’è che allontana alcuni investitori dagli investimenti sostenibili? «Il timore di bassi rendimenti, la mancanza di proposte commerciali e il sospetto che si tratti solo di marketing»
Con “rischio Esg” nella normativa si intende la possibilità che la performance finanziaria venga negativamente impattata». Al contrario, «quando si parla dell’effetto che le imprese hanno sulle variabili di sostenibilità, si parla di impatto negativo»
«La resilienza misura come si cade, non come ci si rialza», afferma il professor Rocco Ciciretti, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, parlando di investimenti sostenibili e rischio sistemico. L’occasione è quella del webinar Assoreti Formazione Studi e Ricerche del 7 aprile 2021. In caso di shock esogeno (come il covid), tutti i portafogli «cadono», le vendite possono arrivare a pioggia. Ma le analisi del professore hanno mostrato che, quando si vende l’1% di un portafoglio, la perdita relativa dei portafogli “non sostenibili” ovvero con basso valore dei principi Esg (ambientali, sociali, di governance) arriva al 4%. Quattro volte di più. Ed è ancora più pronunciata se si tratta di una vendita veloce (quick liquidation).
In generale, emerge dall’incontro in streaming che in Italia in seguito alla pandemia è cresciuta la familiarità verso gli investimenti sostenibili e le tematiche Esg. «C’è una conoscenza sempre più diffusa sui prodotti di investimento socialmente responsabili» e la crisi ha posto l’accento «sui temi degli investimenti sostenibili e dell’economia circolare», ma bisogna vincere ancora una certa diffidenza dice Paolo Soccorso, dell’ufficio studi economici della Consob, presentando l’indagine 2020 sulla relazione consulente-cliente. Dallo studio emerge infatti che solamente il 19% degli investitori dichiara di possedere prodotti finanziari sostenibili. Solo il 13% si ritiene ben informato, a fronte di un 26% che si riconosce una conoscenza basilare.
In particolare, emergono «alcune aree di miglioramento nella comunicazione tra consulente e cliente», aggiunge Soccorso. Formazione, educazione finanziaria e sostenibilità sono le parole chiave nel rapporto consulente-cliente, dice
Sabrina Scarito, di
Assoreti Formazione e docente all’Università di Bologna e alla Luiss di Roma. Soprattuto, in merito alla sostenibilità, «l’attenzione aumenta, ma
i professionisti dichiarano una conoscenza di base nel 38% dei casi e avanzata nel 17%», prosegue Scarito, citando il rapporto della Consob.
Ma cos’è che allontana alcuni investitori dagli investimenti sostenibili? «Il timore di bassi rendimenti, la mancanza di proposte commerciali e il sospetto che si tratti solo di marketing». L’ombra del greenwashing si allunga sul rifiuto degli investimenti sostenibili. I clienti sottovalutano il ruolo informativo dei consulenti, «ma una buona consulenza è importante per tutti, a prescindere dalle risorse finanziarie a disposizione. Essa aiuta a gestire meglio le risorse finanziarie e a superare le distorsioni comportamentali umane e la loro irrazionalità».
Dal 10 marzo 2021 è entrato in vigore il Regolamento Ue sulla rendicontazione sostenibile.
Manuela Mazzoleni, direttrice sostenibilità Assogestioni, plaude all’ingresso della normativa nella definizione del perimetro degli investimenti socialmente responsabili. «All’inizio gli investimenti Sri si basavano sul principio di esclusione rispetto ad alcuni settori “immorali”, attinenti alla cosiddetta
vice industry. Negli ultimi anni però, oltre a essersi scardinato il legame fra rischiosità e sostenibilità, si è ampliato il concetto di investimento etico, allargandolo a tematiche ambientali,
sociali e di governance». Questo tipo di considerazioni nella valutazione degli asset costituiscono un arricchimento della cassetta degli attrezzi degli analisti, una modalità che consente di ridurre i rischi, prosegue l’esperta.
La normativa che la Commissione sta attuando col suo pacchetto sostenibilità include il concetto di doppia materialità. Si tratta di una duplice valutazione dell’impatto Esg e della performance finanziaria di un’emittente e in modo derivato dei portafogli. Si analizza il nesso di causalità fra condotta d’impresa e variabili Esg. «Sono concetti correlati ma separati. Con “rischio Esg” nella normativa si intende la possibilità che la performance finanziaria venga negativamente impattata». Al contrario, «quando si parla dell’effetto che le imprese hanno sulle variabili di sostenibilità, si parla di impatto negativo». La normativa richiede trasparenza (disclosure) relativamente a questi effetti, «gli indicatori sono molto dettagliati». E tutti i prodotti di investimento contengono ormai un prospetto relativo ai rischi Esg.
Solamente il 19% degli investitori dichiara di possedere prodotti finanziari sostenibili. Solo il 13% si ritiene ben informato, a fronte di un 26% che si riconosce una conoscenza basilareMa cos’è che allontana alcuni investitori dagli investimenti sostenibili? «Il timore di bassi rendimenti, la manc…