L’Integrated governance index 2022 ha coinvolto le prime 100 società quotate, quelle che hanno redatto la Dichiarazione non finanziaria nel 2021 (paniere Consob) e le prime 50 società non quotate italiane
Elena Bonanni: “Si registra una maggiore presenza del settore finanziario, dell’energia, dei servizi pubblici e infine dell’industria, ma stanno emergendo sempre di più anche le aziende tecnologiche”
Hera, Eni e Snam. Ma anche Poste Italiane, Assicurazioni Generali e UniCredit quando si parla di finanza. Sono solo alcune delle società che hanno passato il “test” dell’Integrated governance index 2022, l’indice elaborato da ET.group e giunto alla settima edizione che misura l’integrazione della sostenibilità nelle strategia aziendali. Un progetto che ha coinvolto le prime 100 società quotate, quelle che hanno redatto la Dichiarazione non finanziaria nel 2021 (paniere Consob) e le prime 50 società non quotate italiane.
La top 10 in Italia: Hera, Eni e Snam sul podio
Complessivamente, il questionario è stato sottoposto a circa 300 aziende. A compilarlo sono state in 86 a fronte delle 80 del 2021 e le 74 del 2020. Di queste, 67 erano quotate e 19 non quotate. L’indice copre infatti il 62% delle società del Ftse Mib e il 50% delle prime 100 società quotate italiane. La top 10 vede sul podio Hera, Eni e Snam seguite da Enel, Saipem, Poste Italiane, Generali, UniCredit, Iren e Erg. La top4 delle non quotate accoglie invece Astm, Bnl, Crédit Agricole Italia e il Gruppo Cap. Nell’edizione di quest’anno, l’ufficio studi di ET.group ha poi diviso i partecipanti in quattro gruppi a seconda del livello di sviluppo dell’identità Esg: “top performer”, “leader”, “conscious” e “builder”. Le top performer rappresentano il 22% del cluster complessivo mentre le società leader raggiungono il 30%.
“Quanto ai settori rappresentati, si registra una maggiore presenza del settore finanziario, dell’energia, dei servizi pubblici e infine dell’industria, ma stanno emergendo sempre di più anche le aziende tecnologiche”, racconta Elena Bonanni, head of Igi analysis & Esg governance Lab di ETicaNews intervenuta nell’ambito dell’Esg business conference 2022 nella cornice del Palazzo Giureconsulti di Milano. “Ricordo che l’Integrated governance index (Igi) non misura gli output, ovvero quanto un’azienda inquina, ma i processi a monte: com’è strutturata la governance e se l’azienda è preparata a reagire alle future sfide sostenibili. Quindi si va dai comitati, alle competenze, alla diversity, fino alla strategia e alla finanza”, precisa l’esperta.
Strategie aziendali: come si integra la sostenibilità
“Passando ai dati dell’index, il progetto nasce come uno strumento per le aziende per aiutarle a comprendere come si posizionano rispetto ai vari filoni. Quanto alla strategia e al concetto di due diligence, ci siamo chiesti innanzitutto se le società si stanno dotando di policy pubbliche su vari aspetti, un tema che in Italia ha bisogno anche di induction perché abbiamo rilevato che spesso questi ambiti (dall’ambiente alla diversity) vengono inseriti all’interno di policy più ampie invece di essere dettagliati in modo specifico”, continua Bonanni. Il 70% dichiara di possedere una policy azionisti e stakeholder a fronte del 52% che dichiara di possederne anche una per la generalità degli stakeholder (nel 2021 erano il 38%). “Chiediamo poi se i temi Esg vengano analizzati dal Consiglio di amministrazione quando si parla di strategie e quest’anno il 55% delle società afferma che sono integrati nel piano industriale, in crescita dal 46% del 2021. Risulta invece in discesa la percentuale di aziende che analizzano gli obiettivi Esg ma li tiene separati in un piano di sostenibilità (dal 31% del 2021 al 19% del 2022)”, evidenzia Bonanni.
Quando si chiede poi se gli amministratori abbiano attuato processi di due diligence sulla sostenibilità aziendale, il 55% dichiara di non essersi ancora posto il problema, il 21% dichiara di sì e il 6% che includono anche processi di adattamento della strategia aziendale a seguito della due diligence. Quanto ai processi di due diligence sulla supply chain, oltre il 50% delle aziende afferma di attuarli, sia per le tematiche ambientali che per quelle sociali. “Infine abbiamo indagato come si sta strutturando la relazione tra aziende e stakeholder, chiedendo se la società abbia un sistema di ascolto degli stessi nei processi di due diligence della filiera: il 70% dice di sì e il 30% di no. Ma, analizzando le risposte, emerge come resti ancora da capire cosa si intende”, conclude Bonanni.
La proposta di direttiva sulla due diligence
“Un cambiamento epocale quello che i paesi europei stanno vivendo perché stiamo passando dalla sostenibilità volontaria alla sostenibilità per legge”, aggiunge Edoardo Fea, equity partner di Andersen. “Per molti anni le imprese europee hanno fatto sostenibilità secondo quelli che erano dei sentiment, poi nel tempo ci sono state una serie di norme che hanno iniziato a incidere sulla sostenibilità. A partire dalla direttiva europea 95/2014 che ha iniziato a introdurre alcuni obblighi sulla rendicontazione, per arrivare alla direttiva sul Green Deal, fino alla più recente Corporate sustainability reporting directive (Csrd) e qualche settimana fa alla proposta di direttiva sulla due diligence delle attività aziendali”, osserva Fea. A intervenire infine su quest’ultimo tema anche Giovanni Marsili, partner di Gianni & Origoni, che osserva come con la proposta di direttiva si inizi a parlare “di diritto vero”. Poi conclude: “A chi si applicherà? A tutti, direttamente o indirettamente. Anche a imprese che non hanno sede in Ue ma che lì operano con certi perimetri. Si parla delle cosiddette filiazioni, ma anche di banche, assicurazioni e fondi”.