Gli asset in fondi sostenibili sono cresciuti del 53% su base annua nel 2021, toccando i 2.700 miliardi di dollari
Il 70% degli investitori conferma la volontà di puntare su realtà attente al proprio impatto sociale e ambientale
Gli investimenti sostenibili continuano inarrestabili la loro corsa, con asset in crescita del 53% su base annua a 2.700 miliardi di dollari nel 2021. Ma alcune sfide rischiano di minarne la credibilità. A partire dalla mancanza di una “definizione condivisa su cosa significhi sostenibilità e quali debbano essere i sistemi di rating e di valutazione”, nelle parole di Riccardo Giovannini, climate change and sustainability leader di EY in Italia intervenuto in occasione della presentazione di un nuovo report dell’organizzazione in collaborazione con Oxford Analytica.
“La straordinaria crescita dell’attenzione sui temi legati alla sostenibilità, compreso l’Esg (Environmental, social, governance), e il conseguente sviluppo di tali attività all’interno delle aziende, si trova oggi ad affrontare delle sfide complesse, quali una definizione condivisa di cosa significhi la sostenibilità e quali debbano essere i sistemi di rating e valutazione”, spiega Giovannini. “Negli ultimi anni questo sviluppo è stato indotto per una parte importante dagli investitori, il 70% dei quali conferma la volontà di voler in realtà attente al proprio impatto sociale e ambientale, e dall’input del legislatore europeo che sta progressivamente regolando la materia a beneficio, in primis, proprio degli investitori stessi”.
Ciononostante, aggiunge, lo sviluppo di “un tema così rilevante” è ancora guidato “prevalentemente da un solo stakeholder, ossia quello finanziario, che peraltro ha mostrato normalmente una scarsa attenzione alle tematiche ambientali e sociali”. Ciò innesca quello che Giovannini definisce “una sorta di squilibrio” che si osserva “nella prevalente attenzione alla gestione del rischio di non sostenibilità delle imprese piuttosto che allo sviluppo delle stesse e di una contestuale riduzione significativa dei loro impatti ambientali”. Di conseguenza, continua l’esperto, è necessario “rifocalizzare l’attenzione sul concetto stesso di sostenibilità, in modo che sia condivisibile da tutti gli stakeholder così da misurare realmente l’impegno delle aziende sul tema. Questo consentirebbe di non incorrere nel rischio che la sostenibilità venga relegata solo a un tema di compliance normativa, a discapito di un reale e concreto contributo delle aziende allo sviluppo sostenibile della nostra società civile e dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite”.
5 aree da gestire per superare le sfide Esg
In questo panorama, EY e Oxford Analytica hanno identificato 5 aree da gestire per superare le sfide che stanno attualmente affrontando i criteri Esg, esacerbate anche dall’impennata dell’inflazione e dalla guerra russo-ucraina:
- più trasparenza sui rating Esg: si tratta di indicatori compositi attraverso i quali le imprese ottengono un punteggio sulla base di diversi fattori, dai cambiamenti climatici all’inquinamento fino alla trasparenza fiscale. Ma la mancanza di trasparenza sulla ponderazione di tali tematiche rischierebbe di ostacolare un’analisi rigorosa delle performance in “verde” delle organizzazioni. Senza dimenticare la difficoltà di quantificare le questioni sociali (diritti umani ed equità di genere, tra le altre) anche a causa delle differenze sociali e politiche tra le varie giurisdizioni;
- aumentare la comprensione dei diversi usi delle informazioni sulla sostenibilità: si tratta di dati utili a valutare non solo il rischio finanziario ma anche l’impatto sociale. Ma, stando ai ricercatori, la maggior parte dei regimi di reporting Esg tendono a trascurare la seconda variabile. Eppure, a favorire la crescita degli investimenti sostenibili sono soprattutto millennial (nati tra il 1981 e il 1996) e Generazione Z (nati tra il 1997 e il 2012) che considerano prioritarie proprio le considerazioni sociali e morali;
- certificare i dati in modo indipendente e standardizzato: una mossa che consentirebbe di riconquistare la fiducia dei mercati nelle informazioni sulla sostenibilità;
- sviluppare tassonomie di finanza sostenibile comparabili e interoperabili: diversi paesi hanno già mosso i primi passi nello sviluppo di sistemi che aiutino a definire quali attività economiche possano essere definite come “sostenibili”. Ma, secondo i ricercatori, le giurisdizioni necessitano di tassonomie fondate su principi complementari;
- abbattere le barriere all’ingresso per chi proviene dai paesi emergenti: si tratta di economie responsabili della maggioranza delle emissioni globali di gas serra, almeno da qui al 2050. Ma anche delle più vulnerabili ai cambiamenti climatici. Motivo per cui, concludono EY e Oxford Analytica, bisognerebbe coinvolgerle maggiormente nell’ecosistema dell’informazione sulla sostenibilità, senza tuttavia elaborare standard ad hoc che rischierebbero di risultare “controproducenti”.