Fino a non molto tempo fa la politica monetaria era vista come una materia puramente tecnica, legata alla stabilità dei prezzi. Ma sta crescendo il consenso attorno all’idea che il cambiamento climatico sia una materia su cui anche le banche centrali devono svolgere un ruolo.
tre economisti della Banca centrale europea, Lena Boneva, Gianluigi Ferrucci e Francesco Paolo Mongelli sostengono, fra le altre cose, che le logiche di sostenibilità ambientale debbano in qualche modo incidere sulle scelte di politica monetaria e sui piani di acquisto di titoli
“L’azione del governo da sola non è sufficiente per affrontare la complessità e la portata della trasformazione necessaria per raggiungere gli obiettivi climatici, e c’è un crescente consenso sul fatto che un pacchetto di politiche completo sarebbe più efficace nell’affrontare i molteplici fallimenti del mercato alla base della sfida climatica”, hanno scritto gli autori.
Il cambiamento climatico non è un problema di cui dovranno occuparsi solo i governi e le aziende: anche le banche centrali potranno giocare un ruolo modificando i criteri che guidano la politica monetaria. Inclusi quelli che determinano quali titoli possono essere inclusi nei sempre più frequenti piani di acquisto. Ad affermarlo sono tre economisti della Banca centrale europea, Lena Boneva, Gianluigi Ferrucci e Francesco Paolo Mongelli in un articolo pubblicato su VoxEu, la testata collegata al think-tank Cepr. E’ vero, ammettono i tre autori, sui governi ricadono le decisioni più importanti e i maggiori poteri in grado di fare la differenza nella sfida al cambiamento climatico. Ma anche le banche centrali possono giocare un ruolo. Che questa posizione emerga dall’interno della Bce non dovrebbe stupire: già nel luglio 2021, in occasione della revisione strategica dell’Eurotower, era stato messo in chiaro che il cambiamento climatico sarebbe stato incluso “nelle operazioni di politica monetaria nelle aree della divulgazione, della valutazione del rischio, del quadro delle garanzie e degli acquisti di attività del settore societario”.
Si può dire che, dati alla mano, la Bce è fra le prime banche centrali a considerare la questione così a fondo nella pratica monetaria. Una disciplina i cui obiettivi riguardano la stabilità dei prezzi che, a prima vista, non c’entra nulla con il riscaldamento globale. Secondo uno studio del 2021, citato dagli autori dell’articolo, solo il 12% dei 135 mandati delle banche centrali analizzati fa riferimento esplicito alla crescita o allo sviluppo sostenibile. Piuttosto, nel 40% dei casi si fa riferimento al supporto delle priorità politiche del governo, che spesso includono anche obiettivi ‘green’. Questo non sarebbe abbastanza secondo Boneva, Ferrucci e Mongelli.
“L’azione del governo da sola non è sufficiente per affrontare la complessità e la portata della trasformazione necessaria per raggiungere gli obiettivi climatici, e c’è un crescente consenso sul fatto che un pacchetto di politiche completo sarebbe più efficace nell’affrontare i molteplici fallimenti del mercato alla base della sfida climatica”, hanno scritto gli autori.
Nello specifico le politiche sostenibili delle banche centrali dovrebbero includere tre categorie di interventi.
- Protezione del bilancio. Da tempo esiste la consapevolezza che il cambiamento climatico costuisce un rischio finanziario in grado di colpire le aziende. Siccome alcune sono più a rischio di altre, la banca centrale dovrebbe regolarsi di conseguenza nella gestione del suo portafoglio. “ Si potrebbero prendere in considerazione politiche per ridurre il peso delle attività che rischiano di diventare ‘incagliate’ nei portafogli delle banche centrali, a condizione che sia dimostrato che tali rischi non sono correttamente compresi e prezzati dai mercati finanziari e che tali attività possano essere identificate in modo oggettivo”. Per raggiungere questo obiettivo adrebbe potenziata la cassetta degli attrezzi analitica per determinare l’impatto del cambiamento climatico, hanno scritto i tre economisti.
- Attività di comunicazione. Compito della banca centrale sarebbe quello di “sensibilizzare sui rischi climatici che potrebbero anche contribuire a promuovere la finanza verde e la crescita sostenibile”, hanno affermato gli autori, “queste misure potrebbero beneficiare di uno schema di classificazione per classificare i settori e le attività e separare gli investimenti inquinanti da quelli verdi – come la tassonomia dell’Ue – promuovendo una più efficiente determinazione del prezzo di mercato dei rischi climatici”.
- Uso attivo del bilancio della banca centrale. E’ probabilmente questo il punto potenzialmente più controverso: l’idea che le logiche di sostenibilità ambientale debbano, in qualche modo, incidere sulle scelte di politica monetaria e sui piani di acquisto di titoli. Questi ultimi, come noto, contribuiscono a creare condizioni finanziarie più favorevoli per gli emittenti coinvolti. La banca centrale, in quest’ottica, dovrebbe compiere “azioni contro i cambiamenti climatici e promuovere la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio, anche attraverso un uso attivo dei bilanci”, hanno affermato Boneva, Ferrucci e Mongelli. “A seconda dei mandati legali e del quadro operativo delle banche centrali, il sostegno attivo alla transizione verso un’economia a basse emissioni di CO2 può essere ottenuto modificando i prezzi delle linee di credito delle banche centrali o i criteri di ammissibilità”, hanno sostenuto gli autori della Bce, “date le dimensioni degli attuali bilanci delle banche centrali, in alcuni casi gli effetti di un’ecologizzazione dei portafogli delle banche centrali potrebbero essere sostanziali”. Allo stato attuale, invece, le banche centrali procedono agli acquisti sulla base delle quote di mercato – un approccio neutrale che, però, favorisce le società ad elevata capitalizzazione, che sono spesso anche quelle più carbon intensive (cioè inquinanti). “I tradizionali parametri di riferimento per gli acquisti di attività delle banche centrali, basati sulla neutralità del mercato”, hanno scritto gli economisti, “potrebbero non essere appropriati”.
Resterà da capire se le possibili critiche a questo nuovo modello potranno essere superate. Una di esse, facilmente comprensibile, è che possa passare questo messaggio: che le banche centrali cerchino maggiore potere su decisioni tipicamente politiche. Fra i critici illustri del “Quantitative easing verde” figurava l’ormai ex presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, che nell’ottobre 2019 aveva dichiarato come l’implementazione della stabilità dei prezzi deve essere aderente alla neutralità di mercato e che agire diversamente sarebbe stato contario ai trattati europei. Si sa, il clima cambia in fretta; Maastricht, invece, no.