Divorzio, che accade ai beni di lusso presi con redditi non dichiarati?

Nicola Ricciardi
14.10.2022
Tempo di lettura: 3'
Nella vita familiare può succedere che gioielli, orologi, opere d'arte e simili siano acquisiti con redditi non dichiarati. Ci si chiede allora che ne sia di questi oggetti se la famiglia si sfascia

Che, in caso di separazione o divorzio, il reddito dell'ex coniuge rilevi per il mantenimento non è una novità; lo è forse il fatto che in quel reddito rientri anche il nero, cioè i ricavi non dichiarati al Fisco, e i beni, anche di lusso, acquistati con quei proventi. Ebbene si, se quei ricavi sono stati percepiti e di quegli oggetti la famiglia, in costanza di matrimonio, ha potuto goderne, è giusto che vengano conteggiati anche quando il matrimonio è finito, anche se sono frutto di evasione. 

Nelle cause di separazione, che spesso balzano anche agli onori della cronaca, il giudice di merito deve disporre controlli fiscali da parte della Guardia di Finanza o dell'Agenzia delle Entrate per verificare se vi sono eventuali redditi non dichiarato al Fisco, a condizione però che vi siano elementi concreti da cui è possibile presumere (con una certa dose di certezza) che le  dichiarazioni fiscali dell'ex sono non sono veritiere e che quei quadri, che da sempre hanno arredato la casa coniugale, sono stati acquistati col nero dell’impresa. 

Potremmo dire che all'infedeltà coniugale si aggiunge quella fiscale, con effetti, spesso, altrettanto dirompenti. A stabilire tutto questo è stata la I sezione civile della Suprema Corte di Cassazione, con la recentissima Ordinanza n. 22616/2022. La decisione nasce da una causa di separazione che vedeva coinvolto un professionista, che pure aveva versato un assegno consistente alla ex moglie e al figlio; questo assegno però non era “veritiero”, a detta del coniuge beneficiario, che ben sapeva che i redditi dichiarati dal professionista erano solo una parte di quelli effettivamente percepiti. 

Per questo motivo, la donna chiedeva che l'ex marito fosse sottoposto a controlli fiscali, richiesta che però non veniva accolta dai giudici di appello perché, a loro dire, i ricavi non dichiarati non sono un parametro certo e comunque non possono costituire un parametro di riferimento per la determinazione del reddito familiare né, tantomeno, dell'assegno di separazione. È risaputo che, per determinare il tenore di vita di una famiglia conti tutto il patrimonio, quindi non solo i beni mobili e immobili, ma ogni ricchezza e utilità, tra cui, ovviamente, anche i redditi percepiti. 

Questi però non sono solo quelli che risultano dalle dichiarazioni dei redditi ma anche quelli che sono stati effettivamente percepiti, anche se in quelle dichiarazioni non trovano spazio. Certo, il controllo da parte della Guardia di Finanza costituisce un'eccezione al normale onere della prova e, per tale ragione, la richiesta deve essere dettagliata e specifica, con indicazione certa di quelli che sono gli elementi su cui deve svolgersi il controllo. 

Non basta, per chiarirci dire che Tizio ha fatto del nero: si deve dare prova, anche presuntiva, dei clienti di Tizio, dei suoi incontro con gli stessi, dei lavori che ha svolto, del suo giro di conoscenze e frequentazioni che sono, direttamente o indirettamente, legate al suo lavoro. Si deve dire come e quando ha acquistato quegli orologi, a quale gallerista si è rivolto per comprare quei quadri e fare il nome del gioielliere di fiducia che accettava pagamento non tracciati per importi non consentiti. 

Ma, laddove questa prova venga fornita, la richiesta di controlli fiscali deve essere accolta dal giudice, non solo per tutelare il coniuge debole ma anche i figli, che vedrebbero altrimenti pregiudicata la propria posizione. Quello che rileva, quindi, è il tenore di vita di cui godeva la famiglia prima della separazione, il tempo di convivenza del figlio presso ogni genitore, i compiti e i ruoli svolti dagli stessi e, ultimo ma non ultimo, i redditi dei due coniugi, redditi che non possono essere considerati parzialmente ma che devono essere visti nella loro totalità e, per fare questo, il giudice può chiedere aiuto al Fisco. 

Certo, bisognerebbe poi fare una riflessione su come opera il Fisco perché, come tutti sappiamo, è facile mettere in moto la macchina dei controlli fiscali, meno facile è fermarla. Infatti, una volta che i finanzieri setacciano la posizione dello sventurato di turno, quali certezze ci sono che non vadano oltre a quanto richiesto dal giudice, magari estendendo il controllo anche a tutti i beni che il coniuge ha? Sappiamo, ed è inutile ripeterlo, che vi sono collezioni di arte (o di orologi e scarpe per restare ai giorni nostri) che sono di valore ben più alto delle stesse case che le accolgono. 

E’allora possibile che anche questi oggetti, in quanto frutto di un “ipotetico” reddito non dichiarato, vengano messi in discussione dai controllori? Il marito (meglio, il coniuge) appassionato di arte che ha fatto nell’arco della sua vita lavorativa acquisti di varie opere, rinunciando a molte altre cose, e li ha fatti tutti con redditi ampiamente dichiarati, deve difendersi dalle denunce dell’ex e trovare giustificazione anche per oggetti acquistati molti anni prima, per i quali magari non ha conservato le ricevute di acquisto? Tutti sappiamo che, tra i redditi accertati dopo una verifica della Guardia di Finanza e quelli effettivamente percepiti, molto spesso c'è un abisso. E questo abisso chi lo colma? 

Che cosa succede se i redditi accertati dai finanzieri, o i beni che loro ritengono essere stati acquistati con quei soldi, vengono poi contestati, magari con successo, dall'ex coniuge? Se quel verbale redatto dalla Guardia di Finanza viene archiviato o, più semplicemente, ridimensionato, magari dopo un contenzioso che dura qualche anno, che effetti ci saranno sull'assegno di mantenimento? Verrà scongiurato il rischio di pagare anche per quello che non si è guadagnato? E quei quadri, che magari sono stati venduti per far fronte ai nuovi bisogni della famiglia, verranno poi restituiti al legittimo proprietario?

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Nicola Ricciardi è Avvocato cassazionista iscritto all’Ordine degli Avvocati di Roma esperto in diritto tributario, doganale e delle accise.

Autore di libri e pubblicazioni sul tema della riscossione delle imposte, già consulente presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, è docente presso l’Istituto di Studi Giuridici Arturo Carlo Jemolo di Roma.

Titolare dell’omonimo studio legale con sede a Roma e Milano, l’Avvocato Ricciardi assiste privati e aziende in occasione delle verifiche e degli accertamenti fiscali.

Relatore in numerosi convegni in materia tributaria, è Presidente dell'Associazione Fisco e Territorio NO PROFIT

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