Collezionismo e privacy: “Non dite che quel Rothko è stato mio!”

Francesca Lauri
28.4.2022
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Nel mercato dell’arte forse più che altrove è difficile bilanciare gli interessi delle parti venditrice e acquirente. Specie se si ha a che fare con la questione riservatezza

Recentemente, un caso ha rivelato quanto, nel mercato dell’arte, sia complesso bilanciare gli interessi di venditori e acquirenti. A fine gennaio, infatti, la galleria belga Jacques de la Béraudière ha fatto causa alla galleria di newyorkese, Edward Tyler Nahem Fine Art per non aver divulgato il nome del collezionista privato a cui aveva venduto nel 2006 l’opera di Mark Rothko, “Untitled (Red, Yellow, Blue, Black and White, 1950)”, descrivendola solo come “Collezione privata, California”. Tale comportamento sarebbe stato d’ostacolo alla vendita dell’opera, in quanto non accompagnata da prove documentali sulla sua provenienza. 

L’avvocato di Edward Tyler Nahem Fine Art, ha ritenuto irrilevante l’argomentazione sostenuta dalla galleria belga, la quale come si evinceva dalla denuncia presentata, si faceva portavoce di un principio di trasparenza da applicare alla due diligence finalizzata alla compravendita di opere d’arte. Così la causa si è conclusa in meno di due settimane, con buona pace dei due che hanno reciprocamente concordato di andare avanti con il loro rapporto professionale in modo amichevole. In conclusione, la galleria belga avrebbe addirittura affermato, come si legge in una dichiarazione, che “il signor Nahem non aveva alcun obbligo di divulgare informazioni riservate dei clienti, né ha ostacolato il marketing o la vendita di questo dipinto in alcun modo”. 

Ebbene, è senz’altro vero che per eseguire una corretta due diligence, è necessario che qualsiasi cambio di proprietà sia accompagnato da prove documentali storicamente verificabili, non dando mai per scontata la provenienza dichiarata per non correre il rischio, ad esempio, di scoprire nella propria collezione un’opera di provenienza dubbia o illecita. 

Tuttavia, la maggior parte dei collezionisti, preferisce che la propria collezione non venga divulgata per escludere qualsivoglia ripercussione economica e sociale o più in generale, semplicemente per discrezione sulla propria capacità patrimoniale.

Se da un lato la provenienza è importante per ricostruire la storia completa della proprietà dell’opera, è anche vero che quando un professionista del mercato dell’arte vende la stessa, spesso ha il dovere di non rivelare i dati del precedente collezionista, senza il suo consenso. 

In questo contesto emerge la fondamentale importanza che ricopre, per gli operatori del settore, l’osservanza della normativa sulla protezione dei dati personali, oggi contenuta nel d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali), più volte modificato. In particolare, detto codice sancisce che “chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano”, ove per dati personali si intende qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente od associazione, identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale. Di conseguenza, chiunque cagiona un danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell'art. 2050 c.c. Con particolare riferimento al diritto alla protezione dei dati personali, il legislatore con il Regolamento UE 2016/679 (“GDPR”), ha posto l’accento sulla portata della normativa come mezzo di tutela dei diritti e libertà fondamentali delle persone. 

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Francesca Lauri, dopo la laurea in Giurisprudenza ha conseguito un master in Economia e management dell’arte e dei beni culturali. Ha lavorato durante il corso di studi, in case d’asta e per art dealers ed oggi unendo la sua principale passione al diritto, si occupa prevalentemente di diritto dell’arte e dei beni culturali. È iscritta all’Albo dei Giornalisti pubblicisti dal 2022.

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