Arte e bilancio di sostenibilità: analisi e comunicazione

Roberta Ghilardi
12.4.2022
Tempo di lettura: 5'
Arte e corporate social responsibility, il bilancio di sostenibilità come strumento di analisi e comunicazione strategica

Negli ultimi anni è cresciuto il numero delle imprese che scelgono di supportare arte e cultura, elementi in grado non soltanto di accrescerne la visibilità, ma anche e soprattutto di determinare uno specifico posizionamento del brand e influenzare la valutazione del mercato e degli stakeholder. 

La cultura è infatti percepita come un asset di valore, un elemento fondamentale del benessere sociale e della qualità della vita delle persone. È sempre più diffusa, inoltre, la consapevolezza dell’importanza delle industrie culturali e creative in termini economici, occupazionali e di contributo allo sviluppo sostenibile. La nuova normativa del Terzo Settore, infine, introducendo la cultura e arte tra le “attività di interesse generale” per cui un ente non-profit può essere iscritto al Registro Unico del Terzo Settore (RUNTS) beneficiando di importanti vantaggi fiscali (propri e per i donors), riconferma ulteriormente come cultura ed arte siano considerate centrali nelle strategie di sviluppo del benessere della collettività, sostenuto dal mondo non-profit.

Il contenuto riportato nei Report di sostenibilità dalle aziende, in relazione ad arte e cultura, risulta tanto più approfondito e dettagliato, quanto più maturo e strutturato è l’approccio dell’impresa al tema. Le principali fonti di letteratura che hanno esaminato il rapporto tra corporate social responsibility, arte e cultura[1], indicano che le attività che le aziende possono implementare a supporto di arte e cultura si possono dividere in quattro principali categorie. La prima include le iniziative di breve termine che si pongono come scopo primario quello di migliorare l’immagine del brand (obiettivo commerciale) e influenzare la percezione degli Stakeholder. Tra le azioni implementate, è possibile citare la concessione di benefit quali biglietti gratuiti per mostre e spettacoli ai dipendenti, oppure la realizzazione di attività formative a sfondo artistico. Anche la seconda categoria di attività si caratterizza per un prevalente obiettivo commerciale, ma si distingue per la realizzazione di attività ed iniziative con un impegno di più lungo periodo, tra cui le collaborazioni con artisti per la creazione di edizioni limitate di specifici prodotti.


[1] Tra cui: Zorloni, A., e Ghilardi, R., “L’arte in azienda: dai programmi artistici alle nuove forme di mecenatismo”, in A. Zorloni (a cura di), Musei privati. La passione per l'arte contemporanea nelle collezioni di famiglia e d’impresa, Egea, Milano, 2019.

La terza e quarta categoria si contraddistinguono invece per lo scopo filantropico, che ha un riflesso più profondo e determinante sul posizionamento del brand e sulla percezione degli stakeholder. La differenza tra le due categorie di iniziative sta di nuovo nell’orizzonte temporale: in alcuni casi, le aziende scelgono di supportare la cultura con azioni di breve periodo, che possono includere donazioni, sponsorizzazioni o commissioni di opere agli artisti; in altri, le aziende supportano invece arte e cultura con attività che implicano un impegno (di tempo e risorse) sostanziale, come nel caso dell’istituzione di fondazioni o altre entità legali diverse dall’azienda, incaricate della gestione di specifiche attività o di collezioni aziendali. 

Queste due ultime categorie rispondono all’obiettivo di molte imprese di “restituire qualcosa” alla comunità di riferimento, favorendo l’accesso a beni o attività culturali altrimenti non disponibili, accrescendo la possibilità che la cultura contribuisca alla coesione sociale, all’inclusione e alla promozione della diversità. Una gestione attenta delle progettualità a supporto della cultura possono garantire notevoli benefici all’impresa, incidendo non solo su immagine e reputazione, ma anche su fattori strutturali come il clima aziendale, la competitività nel mercato globale, la capacità di innovare i propri processi creativi e produttivi.

Anche per questo, molte aziende che si distinguono per il contributo al mondo culturale, tra cui diversi gruppi operanti nel settore bancario o della moda, come[1] Intesa Sanpaolo e Salvatore Ferragamo in Italia, o LVMH e Deutsche Bank a livello internazionale, dedicano una parte dei propri documenti di informativa non finanziaria al proprio impegno nella promozione della cultura. Intesa Sanpaolo, per esempio, riporta nel capitolo “Promozione della cultura per la coesione sociale” della propria Dichiarazione Consolidata Non Finanziaria (“DCNF”) 2021 le principali azioni con cui “esprime il proprio impegno per la promozione di arte, cultura e conoscenza, contribuendo in modo responsabile e diretto alla crescita culturale e sociale del Paese”, tra cui anche l’istituzione e gestione dei musei “Gallerie d’Italia”. 

Salvatore Ferragamo declina invece in due capitoli ad hoc della DNF 2021 le azioni di supporto al territorio, incluse quelle per il patrimonio culturale e artistico di Firenze; e i principali risultati raggiunti dalle due entità del Gruppo (il Museo Ferragamo e la Fondazione Ferragamo) che operano nel territorio per la promozione e diffusione della cultura, del patrimonio d’impresa e del valore del Made in Italy. LVMH, tra i gruppi leader nel settore luxury a livello internazionale, si caratterizza per aver intrapreso iniziative a favore dell’arte, della cultura e dell’Education da oltre 25 anni, approfonditi per il 2021 nel capitolo “Supporting Culture, Young People and Humanitarian Projects” del Rapport Annuel. Deutsche Bank, infine, racconta del proprio impegno per l’arte nel capitolo “Art, culture, and sports” dell’Annual Report 2021, in cui si specifica inoltre dell’esistenza di una politica ad hoc (“Deutsche Bank’s Art, Culture & Sports policy”) per la selezione dei progetti artistici, culturali e sportivi da supportare.



[1] Società indicate a titolo esemplificativo e non esaustivo.

Sono ancora rari, tuttavia, i casi di rendicontazione delle iniziative a favore di arte e cultura che includano specifici indicatori volti a misurare l’impatto generato a beneficio della società. Questo riflette la scarsa disponibilità di framework, metodologie ed indicatori univoci specificamente dedicati a misurare gli impatti generati in ambito culturale. Tra le eccezioni è possibile citare il Framework “Culture | 2030 Indicators” dell’UNESCO, elaborato per approfondire il contributo della cultura all’Agenda 2030 di Sviluppo Sostenibile definita dall’ONU nel 2015, a cui le aziende si possono ispirare per migliorare le proprie strategie di reporting. È infatti possibile che una più approfondita analisi e comunicazione degli impatti generati a beneficio della società in ambito artistico-culturale possano favorire non soltanto un ritorno d’immagine per l’azienda, ma anche una maggiore consapevolezza del ritorno degli investimenti effettuati, la valutazione degli impatti generati e di conseguenza il progressivo miglioramento delle strategie e azioni implementate, a beneficio del territorio e della collettività.

Questo potrebbe anche contribuire a rispondere non soltanto alla crescente esigenza di informazioni in ambito ESG da parte di investitori e Stakeholder, ma anche all’evoluzione della normativa europea in materia di reporting, oltre alle esigenze degli Enti del Terzo Settore che operano in arte e cultura di dimostrare ai donors l’impatto delle loro liberalità.

Nel 2021 è stato rilasciato il “Regolamento Tassonomia UE”, che identifica le attività economiche che possono essere considerate sostenibili in base all'allineamento agli obiettivi ambientali dell'Unione Europea. A questa si affiancherà nei prossimi anni una “Tassonomia sociale”, con tre principali obiettivi: promuovere il lavoro dignitoso, standard di vita adeguati e comunità inclusive. Alle aziende sarà richiesta una maggiore capacità di accountability e di disclosure su questi obiettivi, che, per quanto detto finora, è possibile che vadano ad includere anche le attività artistiche e culturali, che si caratterizzano per il contributo alla coesione ed inclusione sociale.

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Laureata con lode in Economia e Gestione dei Beni Culturali e dello Spettacolo, Roberta Ghilardi ha condotto un progetto di tesi presso il Museo del Novecento di Milano. Dopo un'esperienza di tirocinio presso Intesa Sanpaolo, è entrata in Deloitte nel 2017, dove oggi è manager nell’area Sustainability e membro della Service Line Offering Art & Finance di Deloitte Private. In Deloitte collabora a progetti in ambito di sostenibilità, anche connessi al mondo dell’arte e della cultura, e alla redazione dei Report Art&Finance a livello italiano ed internazionale.
È inoltre Cultore della Materia del corso Teorie del Mercato dell'Arte dell’Università IULM e ha contribuito a diverse pubblicazioni nel campo dell'arte e dei beni da collezione, oltre ad aver partecipato come Lecturer a lezioni presso l’Università IULM, l'Università Cattolica e l’Università di Pavia.

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