La scelta di esporre una statua così imponente divisa in pezzi risiede nella volontà di suggerire la fragilità e la prossimità al collasso dell’ordine precedente. Un riferimento alla fede buddhista di Chan e al principio dell’impermanenza. Simboleggia la frammentazione sociale e le incertezze che il mondo si trova a dover vivere oggi (guerre e cambiamento climatico in primo luogo, tensioni politiche in generale). La disposizione disassemblata del Titano invita gli osservatori ad avvicinarsi, a osservare attentamente i dettagli dell’opera, ad adottare nuove prospettive a ad essere maggiormente consapevoli dello spazio.
Sulla parete del fondaco, campeggiano però le istruzioni per riassemblare il titano fatto a pezzi: un invito alla composizione (dei conflitti?), all’unione, al riequilibrio. Lo stesso Wallace Chan rivela che la mostra è influenzata dal suo «viaggio di contemplazione e curiosità nei confronti della vita, della natura, dei misteri dell’universo». Il maestro dice di essere interessato all’esplorazione del mistero della materia e della forma, comprendendo le distinzioni fra lo spazio illusorio e immaginato e la realtà fisica».
Il curatore della mostra James Putnam aggiunge che questo lavoro si relaziona con il principio fondamentale del totemismo, quello per cui «esiste una relazione spirituale fra gli umani e madre natura, la quale deve funzionare per poter sostenere la vita. Il volto calmo ed enigmatico della scultura di Chan rappresenta uno spirito mistico, una forma di totem che esprime lo stato trascendente dell’unità assoluta».