Cosa succede quando un’attribuzione si cristallizza troppo presto? Un esempio perfetto il Salvator Mundi attribuito a Leonardo da Vinci in una recente mostra e poi nell’asta che ne ha sancito il record assoluto. Il dipinto, registrato per la prima volta intorno al 1900, non era considerato di grande importanza. All’epoca, fu attribuito a un membro della cerchia di Leonardo, Bernardino Luini. Poi, nel 1958, viene attribuito ad un altro seguace di Leonardo, Giovanni Antonio Boltraffio. È stato quindi acquistato nel 2005 per 1.175 dollari, descritto come copia. Arriva quindi il momento del prezzo di vendita esorbitante.
In seguito a un pesante restauro, il quadro incassa nel 2017 la cifra monstre di 450 milioni di dollari: autrice è “indubbiamente” la mano di Leonardo da Vinci. Una svolta critica per il dipinto prima della vendita è stata l’esposizione nel 2011 alla National Gallery di Londra, dove è stato descritto come “noto per essere stato dipinto da Leonardo”. Una sorta di benedizione istituzionale da parte di un prestigioso museo che forse inconsapevolmente ha causato l’iperbolico successo di mercato dell’opera.
Tuttavia, l’attribuzione continua ad essere seriamente messa in discussione da numerosi e importanti studiosi. Oggi, a tre anni dalla vendita, gli studiosi ancora dibattono per stabilire se l’opera sia veramente opera di Leonardo o meno. Evidentemente, data l’accesa disputa in corso sulla sua paternità, il dipinto non era ancora maturo per l’attribuzione quando è apparso in una grande mostra e poi in asta. Questa frettolosa attribuzione ha generato quella che può essere descritta solo come una risposta isterica del mercato, una frenesia d’acquisto che ne ha gonfiato il prezzo ben oltre i parametri di qualsiasi opera d’arte precedentemente acquisita e ha accecato gli acquirenti alle molte questioni ancora aperte che la circondano. In questo caso, il carro è stato anteposto ai buoi, il mercato è stato anteposto alla storia dell’arte.
Se l’attribuzione avesse avuto il tempo di cristallizzarsi, si sarebbe potuto prendere una strada diversa. Un approccio più cauto e sistematico avrebbe creato il tempo e lo spazio per considerare le varie opinioni e le loro motivazioni prima della decisione di esporre e prima della vendita. Come ha osservato Charles Hope, specialista dell’arte rinascimentale ed ex direttore della Warburg Institute di Londra, a quel punto l’attribuzione doveva ancora essere testata. C’era, in altre parole, la necessità di più tempo per produrre una valutazione critica misurata.
“Uno studio più lungo avrebbe affrontato idealmente il contesto dello studio con ricerche storiche, connoisseurship e analisi tecniche e scientifiche”. I risultati avrebbero potuto essere pubblicati su un’autorevole rivista scientifica e resi trasparenti al dibattito dell’intera comunità scientifica, prima di raggiungere il grande pubblico e il mercato come attribuzione assoluta. Questo è il processo attraverso il quale si dovrebbe raggiungere un consenso intelligente sull’attribuzione.
Una voce che non è stata presa in considerazione è l’opinione ragionata di Matthew Landrus dell’Università di Oxford, il quale ritiene che l’opera sia in gran parte opera di Luini. Un’altra è l’analisi dell’esperta leonardesca Carmen Bambach, che ritiene che sia in gran parte opera di Boltraffio. Anche altre questioni e problemi importanti avrebbero potuto essere discussi. Ad esempio, una delle voci a favore dell’attribuzione a Leonardo si rivela essere il mercante che vende l’opera, il quale, nonostante la sua competenza, aveva un interesse per il valore di mercato del dipinto.
Non essendo una parte disinteressata, non avrebbe dovuto ricusarsi in questo caso a causa di un potenziale conflitto di interessi? Un’altra questione problematica è la notevole quantità di restauri e ridipinture che, a quanto si dice, sono stati effettuati sull’opera. A che punto è un restauro così esteso che l’opera non può più essere considerata di mano dell’artista?
Infine, c’è un problema primigenio: Leonardo non menziona mai l’opera e non si riesce a tracciare gran parte della catena di proprietà del dipinto. Così com’era, a causa delle conclusioni affrettate, tutte le questioni, le opinioni e le obiezioni non hanno avuto la possibilità di essere sollevate fino a dopo la vendita.
Il dipinto era destinato a una mostra del Louvre nell’ambito delle celebrazioni per il 500° anniversario della morte di Leonardo. Esposizione mai avvenuta. Si dice il motivo potrebbe essere l’esorbitante nuovo valore di mercato Salvator Mundi, e il conseguente costo dell’assicurazione – troppo elevato – per l’esposizione dell’opera al pubblico.
Il mercato ha creato il suo peggior incubo? Qualunque siano le ragioni dell’indisponibilità dell’opera, il dipinto è ora in un limbo. Nessuno sa dove sia ospitato, e si avverte sempre più la sensazione che l’opera sia nascosta perché non sopporta il processo di ricerca o il timore che l’attribuzione possa essere messa in discussione. Lo studioso leonardesco Pietro Marani, che è favorevole all’attribuzione, ha giustamente scritto che è fondamentale “mettere a disposizione della comunità, del pubblico e degli studiosi, un’opera come quella, penso sia un dovere”. Alla fine, non è meglio avere pazienza e aspettare che i fatti si cristallizzino prima di una vendita, piuttosto che rischiare di pagare un prezzo elevato in seguito per un’attribuzione affrettata?