Ogni anno a Natale, in occidente, si rivive la tradizione di allestire la scena della natività cristiana. Un rito la cui spiritualità va al di là dell’incontro religioso specifico: la sua dimensione intima si collega con quella collettiva. Un sentire che si percepisce in una piccola mostra di grande impatto, Admirabile signum. Il presepe tra arte antica e contemporanea, presso la fondazione Carispezia (via Domenico Chiodo 36, La Spezia, fino al 30 gennaio 2022), curata da Lara Conte e Alberto Salvadori.
Roberto Almagno. Foto © Teresa Scarale
In esposizione, un breve viaggio nel tempo attraverso il presepe, dalle antiche rappresentazioni figurative genovesi (con i pastori vestiti in “blu di Genova”, l’originale blue jeans, o tela di Genova) a quelle di dimensione contemporanea, di artisti amatissimi dai collezionisti: Fausto Melotti (606.000 euro da Christie’s nel 2015), Michelangelo Pistoletto (3.100.000 sterline da Christie’s nel 2017), Maria Lai, Roberto Almagno, Marco Lodola, Guido Strazza.
All’esterno, accoglie il visitatore un presepe multicolore luminoso di Marco Lodola, una dimensione pop dell’iconografia cristiana
Marco Lodola
«Ogni sala è un nucleo a sé che si rivela come un tesoro», spiega la curatrice. Tesoro come quello delle opere di Fausto Melotti (1901-1986) e Michelangelo Pistoletto (1933), racchiuse in un unico ambiente, quasi uno scrigno. Le sculture di Melotti, del 1972, richiamano nella loro tipica rarefazione e musicalità sia l’albero di Natale che il presepe.
Fausto Melotti
Fra di esse, un Paesaggio di Pistoletto, risalente al 1965-1966 e facente parte degli “Oggetti in meno”, spiega la curatrice. Mentre tutto il mondo dell’arte è impegnato in schemi di rottura – sono gli anni sessanta – l’artista biellese sceglie di tornare all’infanzia con un “paesaggio” di carta con le statuine natalizie che adoperava suo padre, ma in cui manca… il bambino. Il senso è quello esistenziale di “ultimo presepe”.
Michelangelo Pistoletto
Esistenzialità che si ritrova nella sala dedicata a Maria Lai (1919-2013), nelle sue mappe astrali, nei suoi “Natali di guerra” con il loro senso di rinascita nel dramma. Nell’ago e nel filo dell’artista sarda la dimensione del sacro si esplicita nell’intimità di una manualità quotidiana.
Maria Lai
A Genova nel corso del XVII secolo si era sviluppata un’attenzione minuziosa alla rappresentazione scultorea della nascita di Gesù: legni intagliati e policromati, pasta di vetro per gli occhi, pizzi e galloni in argento e oro filato per gli abiti dei personaggi, pietre dure, coralli, filigrane. La cultura genovese dei presepi raggiunge il proprio apice nel XVIII secolo: le statuine genovesi divengono veri oggetti d’arte, spesso uniti ad apparati scenici effimeri. Il Museo Luxoro di Genova ne custodisce oggi alcuni ottimi esempi, e ne ha prestato uno alla mostra, a sagome dipinte su carta, di produzione lombarda settecentesca.
Dal decorativismo barocco all’essenzialità dello spirito: il presepe forse più toccante di tutti è quello di Roberto Almagno, fatto con rami di scarto reperiti nei boschi d’Abruzzo e poi «lavorati con acqua e fuoco», ci racconta l’artista stesso. «Ogni elemento viene prima raspato, quindi immerso nell’acqua per giorni, curvato con il fuoco e strumenti di contenzione». Un lavoro antico e rituale, che dà a un materiale umile come il legno l’aspetto del ferro battuto. «Tutto nasce dalla natura», conclude Almagno, «e il legno ha un’anima».